sabato 27 luglio 2013

Enea piange

Né lontano di qui vengono indicati i campi del Pianto estesi in ogni direzione: così, con questo nome li chiamano. Qui occulti sentieri celano coloro che un amore crudele consumò con disumano struggimento e intorno li copre una selva di mirti: neanche nella morte sono lasciati in pace dagli affanni. ... Tra queste la Fenicia Didone, ancor fresca di ferita, errava nella vasta selva. Appena l'eroe Troiano le fu vicino e la riconobbe indistinta fra le ombre come chi o vede o crede di aver visto la luna attraverso le nubi al cominciar del mese, si mise a piangere e parlò con dolce amore:
        - O infelice Didone, mi era dunque giunta vera la notizia che eri morta e che avevi seguito il tuo fato col ferro? Ahimé, io sono stato la causa della tua morte? Giuro per le stelle e per gli dei celesti e se qualche fede esiste sotto la profonda terra, contro voglia, o regina, mi sono allontanato dal tuo lido. Ma gli ordini degli dei, che ora mi costringono ad andare tra queste ombre, per questi orridi luoghi infernali e per la profonda notte mi spinsero coi loro comandi. Né ho potuto credere di arrecarti un così grande dolore con la mia partenza. Ferma il passo e non sottrarti al nostro sguardo. Chi fuggi? Questa è l'ultima volta che il fato mi concede di parlarti.
Con queste parole Enea cercava di lenire l'animo ardente di Didone che guardava in modo torvo e scoppiava in lacrime. Lei ostile teneva gli occhi fissi al suolo, col volto immobile, mentre parlavo, come la dura selce o la rupe Marpesia. Infine si allontana e nemica si rifugia nella selva ombrosa dove l'antico coniuge Sicheo corrisponde ai suoi affanni ed uguaglia il suo amore. Nondimeno Enea, scosso dall'iniqua sventura di Didone, prosegue per lungo tratto in lacrime e prova dolore per lei che si allontana.

Eneide, Virgilio Libro VI

domenica 21 luglio 2013

Non premete il piede

Sopra un gracile cristallo, l'inverno guida i loro passi,
il precipizio è sotto il ghiaccio,
questa è la fragile superficie dei nostri piaceri.
Scivolate, mortali, non premete il piede.

Poesia riportata da Leopardi nello Zibaldone