domenica 15 settembre 2013

Enea incontra Caronte

Quindi proseguono il cammino intrapreso e si avvicinano al fiume. Quando il nocchiero fin dall'onda Stigia li scorse andare per il bosco silenzioso e volgere i passi verso la riva, così per primo li assale con queste parole e li apostrofa ad alta voce:
       - Chiunque tu sia che ti dirigi armato al nostro fiume, orsù, di lì dimmi perché vieni e ferma il passo. Questo è il luogo delle Ombre, del Sonno e della soporifera Notte; non è permesso trasportare corpi viventi sulla barca Stigia

Virgilio, Eneide, libro IV

Passaggio dell'Acheronte

In mezzo un ombroso immenso olmo stende i rami e le sue vecchie braccia, dimora che, dicono, i Sogni fallaci occupano a frotte e restano attaccati sotto ogni foglia. E inoltre numerose figure mostruose di diverse fiere hanno dimora sulle porte: i Centauri e le Scille biformi, Briàreo dalle cento braccia e l'idra di Lerna , che stride orribilmente e la Chimera armata di fiamme, le Gorgoni e le Arpie e il fantasma dell'ombra dai tre corpi. Qui Enea, tremante per un improvviso terrore, afferra la spada e presenta la punta aguzza alle ombre che avanzano e se non l'avvisasse l'esperta compagna, che si tratta di vite leggere senza corpo che volteggiano sotto una vuota immagine di forme, si sarebbe precipitato e invano col ferro avrebbe squarciato le ombre.
Di qui comincia la via che porta alle onde del Tartareo Acheronte, qui un gorgo torbido di fango ribolle in una vasta voragine ed erutta tutta la sua melma nel Cocito. Queste acque e i fiumi custodisce Caronte, orrendo nocchiero nella sua terribile asprezza, che porta sul mento una folta e incolta barba bianca, stanno fissi gli occhi fiammeggianti e un sordido mantello gli pende dalle spalle legato con un nodo. Egli stesso spinge la barca con un palo, la governa colle vele e traghetta sulla navicella di cupo colore, ormai vecchio, ma per il dio quella vecchiaia è ancor fresca e verde. Qui, sparsa sulle rive, si precipitava tutta la turba, madri e uomini e corpi privati della vita di magnanimi eroi, fanciulli e nubili fanciulle e giovani posti sui roghi sotto gli occhi dei genitori: come numerose nelle selve cadono le foglie staccandosi al primo freddo dell'autunno, o come numerosi gli uccelli si rifugiano sulla terra venendo dall'alto mare quando la fredda stagione li mette in fuga dai luoghi posti oltre il mare e li sospinge verso terre assolate. Le anime stavano ferme e pregavano di compiere per prime il tragitto e tendevano le mani per il desiderio della riva opposta. Ma l'iracondo aspro nocchiero accoglie ora queste ora quelle e scaccia gli altri, sospinti lontano dalla riva.
Enea, certamente meravigliato e commosso dal tumulto, esclama:
       - Dimmi, o vergine, la folla presso il fiume? E cosa chiedono le anime? Per quale discernimento queste lasciano le rive e quelle solcano coi remi la livida palude?
       Così gli rispose brevemente la sacerdotessa carica d'anni:
       - Figlio di Anchise, legittimo discendente di dei, vedi i profondi stagni del Cocito e la palude Stigia, queste anime che vedi sono la turba misera e insepolta; quel nocchiero è Caronte; questi, che l'onda trasporta, sono stati sepolti. E non è concesso traghettare le orrende rive e le correnti che risuonano sordamente, prima che le ossa abbiano trovato riposo nei sepolcri. Errano per cento anni e s'aggirano intorno a questi lidi e allora, infine, ammessi rivedono gli stagni bramati.
       S'arrestò il figlio di Anchise e fermò i passi, pensando a molte cose e commiserando in cuor suo l'iniqua sorte.

Virgilio, Eneide, canto IV

sabato 14 settembre 2013

Enea alla Sibilla Cumana

Nessun tipo di sventura, o vergine, mi giunge nuovo o inaspettato: tutto ho provato e ormai da tempo consumato in cuore.
Solo ti chiedo: poiché qui si dice che si trovino la porta del re d'Averno e l'oscura palude affluita dall'Acheronte, mi sia concesso di giungere alla presenza dell'amato padre, di parlargli: mostrami la via, aprimi le sacre porte.
Su queste spalle l'ho sottratto alle fiamme, all'incalzare di mille e mille frecce, salvandolo dal nemico; ed egli m'accompagnó nell'esilio, sopportando insieme a me di mare in mare le minacce di flutti e di cielo, invalido, oltre la sorte e le forze di vecchiaia. Lui stesso scongiurando m'ordinò di supplicarti e venire alle tue soglie. Ti prego, abbi pietà, o divina, e del figlio e del padre.

Virgilio, Eneide, IV canto

L'inferno dei viventi

L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Italo Calvino, Le città invisibili

venerdì 13 settembre 2013

Pregiudizi

Per liberarsi dei pregiudizi bisogna innanzi tutto nutrire il sano costume del dubbio.

La testa degli altri

Bisogna imparare a pensare con la propria testa e imparare a mettersi nella testa degli altri.

Kant

Stato di minorità

L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a sé stesso.
Minorità è l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. E' imputabile a sé stessi questa minorità se la causa di essa non dipende da un difetto di intelligenza ma dalla mancanza di decisione e di coraggio nel servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro.
La pigrizia e la viltà sono le cause per cui la gran parte degli uomini rimangono minorenni per tutta la vita e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori. E' tanto comodo essere minorenni.C'è un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha la coscienza per me, un medico che decide per me sulla dieta che mi conviene e non ho più bisogno di darmi pensiero da me. Purché io sia in grado di pagare non ho bisogno di pensare. Altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione.

Kant

Cielo e legge morale

Due cose riempiono l'animo di ammirazione e di venerazione sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me

Kant

sabato 7 settembre 2013

Il respiro dell'umano

C'è un senso molto forte del destino. Tutti i personaggi sembrano correre verso il punto che da sempre era il loro. E la vita coincide con l'essere una specie di dettato, per quanto folle sia (fare la rivoluzione, perdere la testa per un uomo e solo per lui e per tutta la vita, scegliere la magia, la scienza, l'esplorazione); per quanto possa essere spettacolare, alla fine è la semplicità del destino: un punto che ti aspetta, che è il tuo punto; e la vita è il tempo e il movimento in cui tu raggiungi questo punto.

Alessandro Baricco su Gabriel Garcia Marquerz