domenica 30 ottobre 2016

Compassione

Una volta morti, però, tutti abbiamo diritto a ottenere compassione, tenerezza, carità: solo i vivi non ottengono perdono – i vivi allontanano l’indulgenza e il rispetto degli uomini come il vento impetuoso dell’est allontana la pioggia. Finché il cuore batte, feritelo, è la vostra sola opportunità; finché gli occhi possono ancora volgersi verso di voi colmi di preghiere e di lacrime, freddateli con uno sguardo gelido e crudele; finché l’orecchio, il delicato messaggero delle cose più segrete dell’animo, può ancora percepire i toni della gentilezza, sbarazzatevene con fredda cortesia, con beffarda affabilità, con affettata indifferenza; finché l’intelletto creativo freme davanti all’ingiustizia, struggendosi per un desiderio di fratellanza umana, affrettatevi, opprimetelo con i giudizi malevoli, con i paragoni superficiali, con la noncuranza che distorce le cose. A lungo andare il cuore non batterà più – ubi saeva indignatio ulterior cor lacerare nequit; gli occhi cesseranno di chiedere; l’orecchio diverrà sordo; la mente avrà smesso di pensare e non avrà più bisogno di nulla. Allora i vostri discorsi caritatevoli potranno avere libero sfogo; potrete ricordare e compatire la fatica, la lotta disperata, il fallimento; allora potrete dare il giusto valore a quanto di buono era stato fatto, trovare le attenuanti agli errori e magari accettare di dimenticarli.

Il velo dissolto, George Eliot

Tenebre

Perché io prevedo il momento della mia morte e tutto quanto accadrà in quegli istanti estremi. Esattamente tra un mese, il 20 settembre 1850, alle dieci di sera, mi troverò seduto su questa poltrona, in questo studio, stanco di intuire e di prevedere ancora, senza delusioni e senza speranze. Mentre guarderò la lingua bluastra di una fiamma alzarsi nel camino e la lampada starà languendo, comincerà nel mio petto l’orribile contrazione. Avrò appena il tempo di raggiungere il campanello e tirare con forza il cordone prima che sopraggiunga il senso di soffocamento. Nessuno risponderà alla mia chiamata. Io so perché. I miei due domestici sono amanti, e avranno litigato: la governante se ne sarà andata via di casa furiosa due ore prima, sperando di far credere a Perry che si sarebbe annegata. Alla fine Perry, allarmato, le è corso dietro. La piccola sguattera si è addormentata su una panca: non risponde al campanello, non si sveglia neppure… Il senso di soffocamento cresce: la lampada si spegne, con un orribile puzzo… Compio un enorme sforzo, mi attacco di nuovo al campanello. Ho paura di morire, ma nessuno viene in mio aiuto. Avevo sete di cose sconosciute; quella sete è scomparsa. O Dio, lasciatemi con ciò che già conosco e di cui già sono stanco: non chiedo altro. Agonia di dolore e soffocamento – e intanto la terra, i campi, il ruscello sassoso dietro il gruppo di vecchie casupole, il sentore di fresco dopo la pioggia, la luce del mattino attraverso la finestra della mia camera, il caldo del focolare dopo l’aria gelata – su tutto questo scenderanno per sempre le tenebre?
Tenebre – tenebre – nessun dolore – null’altro che tenebre… Passo e ripasso nelle tenebre: i miei pensieri diventano tutt’uno con quell’oscurità, con la sensazione di sprofondarvi sempre più…

Il velo dissolto, George Eliot

sabato 22 ottobre 2016

Aspettative

È perché si hanno delle aspettative che si resta delusi.

Haruki Murakami, La fine del mondo

mercoledì 19 ottobre 2016

Fatica

Non bisogna lasciare che la fatica entri nel cuore, disse. Me lo ripeteva sempre mia madre. Può darsi che la fatica controlli il tuo corpo, ma fai del tuo cuore una cosa tua.

Haruki Murakami, La fine del mondo

lunedì 17 ottobre 2016

Possibilità illimitate

Sono persuaso che il mondo contenga moltissime possibilità. Anzi, possibilità illimitate. E la scelta fra l'una o l'altra in una certa misura spetta alle singole persone. Il mondo è un tavolino da tè formatosi per condensazione di una possibilità tra mille.

La fine del mondo e il paese delle meraviglie, Murakami Haruki

venerdì 14 ottobre 2016

Poesia

La poesia è sempre stata questo: far passare il mare in un imbuto; fissarsi uno strettissimo numero di mezzi espressivi e cercare di esprimere con quello qualcosa di estremamente complesso.

Italo Calvino