Perché io prevedo il momento della mia
morte e tutto quanto accadrà in quegli istanti estremi. Esattamente tra
un mese, il 20 settembre 1850, alle dieci di sera, mi troverò seduto su
questa poltrona, in questo studio, stanco di intuire e di prevedere
ancora, senza delusioni e senza speranze. Mentre guarderò la lingua
bluastra di una fiamma alzarsi nel camino e la lampada starà languendo,
comincerà nel mio petto l’orribile contrazione. Avrò appena il tempo di
raggiungere il campanello e tirare con forza il cordone prima che
sopraggiunga il senso di soffocamento. Nessuno risponderà alla mia
chiamata. Io so perché. I miei due domestici sono amanti, e avranno
litigato: la governante se ne sarà andata via di casa furiosa due ore
prima, sperando di far credere a Perry che si sarebbe annegata. Alla
fine Perry, allarmato, le è corso dietro. La piccola sguattera si è
addormentata su una panca: non risponde al campanello, non si sveglia
neppure… Il senso di soffocamento cresce: la lampada si spegne, con un
orribile puzzo… Compio un enorme sforzo, mi attacco di nuovo al
campanello. Ho paura di morire, ma nessuno viene in mio aiuto. Avevo
sete di cose sconosciute; quella sete è scomparsa. O Dio, lasciatemi con
ciò che già conosco e di cui già sono stanco: non chiedo altro. Agonia
di dolore e soffocamento – e intanto la terra, i campi, il ruscello
sassoso dietro il gruppo di vecchie casupole, il sentore di fresco dopo
la pioggia, la luce del mattino attraverso la finestra della mia camera,
il caldo del focolare dopo l’aria gelata – su tutto questo scenderanno
per sempre le tenebre?
Tenebre – tenebre – nessun
dolore – null’altro che tenebre… Passo e ripasso nelle tenebre: i miei
pensieri diventano tutt’uno con quell’oscurità, con la sensazione di
sprofondarvi sempre più…
Il velo dissolto, George Eliot
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