mercoledì 5 luglio 2017

Rimpianti di povertà

Cosa avrei dato per vedere ancora il mondo con gli occhi di Cinto, ricominciare in Gaminella come lui, con quello stesso padre, magari con quella gamba. Non era mica compassione che provavo per lui, certi momenti lo invidiano. Mi pareva di sapere anche i sogni che faceva la notte e le cose che gli passavano in mente mentre arrancava per la piazza.
Non avevo camminato così, non ero zoppo io, ma quante volte avevo visto passare le carrette rumorose con le sediate di donne e ragazzi, che andavano in festa, alla fiera, alle giostre, e io restavo con Giulia e Angiolina sotto i noccioli, sotto il fico, sul muretto del ponte, quelle lunghe sere d'estate, a guardare il cielo e le vigne sempre uguali. E poi la notte, tutta la notte, per la strada si sentivano tornare cantando, ridendo, chiamandosi attraverso il Belbo. Era in quelle sere che una luce, un falò, visti sulle colline lontane, mi facevano gridare e ritirarmi in terra perché ero povero, perché ero ragazzo, perché ero niente. Quasi godevo se veniva un temporale, il finimondo, di quelli d'estate, e gli guastava la festa. Adesso a pensarci rimpiangevo quei tempi, avrei voluto ritrovarmici.

La luna è i falò, Cesare Pavese 

Nessun commento:

Posta un commento