domenica 19 settembre 2010

Iacopone da Todi

Iacopone da Todi,
O papa Bonifazio, molt'ài iocato al mondo


O papa Bonifazio, molt'ài iocato al mondo;
pensome che iocondo non te 'n porrai partire!
Lo mondo non n'à usato lassar li sui serventi,
ched a la scivirita se 'n partano gaudenti.
Non farà lege nova de farnete essente,
che non te dìa presente, che dona al suo servire.
Bene lo mme pensai che fussi satollato
d'esto malvascio ioco, ch'al mondo ài conversato;
ma poi che tu salisti enn ofizio papato,
non s'aconfà a lo stato essere en tal disire!
Vizio enveterato convertes'en natura;
de congregar le cose granne n'à' auta cura;
or non ce basta el licito a la tua fame dura,
messo t'èi a 'rrobatura, como asscaran rapire.
Pare che la vergogna dereto agi iettata,
l'alma e lo corpo ài posto a llevar to casata;
omo ch'en rena mobele fa grann'edificata,
subito è 'n ruinata, e no li pò fallire.
Como la salamandra sempre vive nel foco,
cusì par che llo scandalo te sia solazzo e ioco;
dell'aneme redente par che ne curi poco!
Là 've t'accunci 'l loco, saperàilo al partire.
Se alcuno ovescovello pò covelle pagare,
mìttili lo fragello che lo vòl' degradare;
poi 'l mandi al cammorlengo, che se deia acordare;
e tanto porrà dare che 'l lassarai redire.
Quando nella contrata t'aiace alcun castello,
'n estante mitti screzio enfra frat'e fratello;
all'un getti el braccio en collo, all'altro mustri el coltello;
se no n'assente al tuo appello, menaccili de firire.
Pènsite per astuzia lo mondo dominare;
ciò ch'ordene l'un anno, l'altro el vidi guastare.
El mondo non n'è cavallo che sse lass'enfrenare,
che 'l pòzzi cavalcare secondo tuo volere!
Quando la prima messa da te fo celebrata,
venne una tenebria per tutta la contrata;
en santo non remase luminera apicciata,
tal tempesta levata là 've tu stavi a ddire.
Quando fo celebrata la 'ncoronazione,
non fo celato al mondo quello che c'escuntròne:
quaranta omen' fòr morti all'oscir de la masone!
Miracol Deo mustròne, quanto li eri 'n placere.
Reputavi te essare lo plu sufficiente
de sedere en papato sopre onn'omo vivente;
clamavi santo Petro che fusse respondente
s'isso sapìa neiente respetto al tuo sapere.
Punisti la tua sedia da parte d'aquilone,
cuntra Deo altissimo fo la tua entenzione.
Per sùbita ruina èi preso en tua masone
e null'o se trovòne a poterte guarire.
Lucifero novello a ssedere en papato,
lengua de blasfemìa, ch'el mondo ài 'nvenenato,
che non se trova spezia, bruttura de peccato,
là 've tu si enfamato vergogna è a profirire.
Punisti la tua lengua contra le reliuni,
a ddicer blasfemia senza nulla rasone;
e Deo sì t'à somerso en tanta confusione
che onn'om ne fa canzone tuo nome a maledire.
O lengua macellara a ddicer villania,
remproperar vergogne cun granne blasfemìa!
Né emperator né rege, chivelle altro che sia,
da te non se partia senza crudel firire.
O pessima avarizia, sete endopplicata,
bever tanta pecunia, no n'essere saziata!
Non 'l te pensavi, misero, a ccui l'ài congregata,
ché tal la t'à arrobata, che no n'eri en pensieri.
La settemana santa, ch'onn'omo stava 'n planto,
mandasti tua famiglia per Roma andare al salto;
lance giero rompenno, faccenno danz'e canto;
penso ch'en molto afranto Deo <'n> te deia ponire.
Intro per Santo Petro e per Santa Santoro
mandasti tua famiglia faccenno danza e coro;
li pelegrini tutti scandalizzati fòro,
maledicenno tu' oro e te e to cavalieri.
Pensavi per augurio la vita perlongare!
Anno dìne né ora omo non sperare!
Vedem per lo peccato la vita stermenare,
la morte appropinquare quand'om pensa gaudere.
Non trovo chi recordi papa nullo passato,
ch'en tanta vanagloria se sia sì delettato.
Par ch'el temor de Deo dereto agi gettato:
segno è d'om desperato o de falso sentire.


Invettiva contro Bonifacio VIII, violentemente accusato da Iacopone di nepotismo, avarizia, empietà, superstizione e eresia. Il poeta gli predice la dannazione eterna e allude sarcasticamente alla pratica comune di «male dire» il suo nome.

Metrica: 7+7 Y(y)X, AAA(a)X (il primo emistichio talvolta è sdrucciolo).


vv. 1-2 «O papa Bonifacio, in questo mondo hai giocato molto, ma credo che non te potrai partire giocondo!». iocato...iocondo: si noti il gioco di parole.

vv. 3-6 «Il mondo non ha l’uso di lasciare che i suoi servi partano gaudenti per la morte. Non farà quindi una nuova legge per farti esente da ciò e per non darti la liquidazione che normalmente dà ai suoi servi».

vv. 7-10 «Io avevo creduto che ormai tu ne avessi abbastanza del gioco malvagio che hai praticato in questo mondo; ma, da quando sei salito all’ufficio di pontefice, non si addice più al tuo stato desiderare una tal cosa».

vv. 11-14 «Il vizio inveterato si converte in natura, di accumulare i beni hai avuto gran cura; alla tua dura fame non è bastato ciò che era lecito e ti sei dato alle ruberie e a rapire come un masnadiero».

vv. 15-18 «Sembra che ti sia lasciato alle spalle la vergogna, hai messo anima e corpo ad arricchire la gente della tua famiglia; chi fa un grande edificio sulla mobile sabbia, subito va in rovina e non può non essere così». omo...ruinata: «Cfr. Matt 7, 26-27: «Omnis qui audit verba mea haec et non facit ea, similis erit viro stulto, qui aedificavit domum suam super arenam. Et descendit pluvia, et venerunt flumina, et flaverunt venti, et irruerunt in domum illam et cecidit et fuit ruina illa magna». Bonifacio, quindi, «è simile allo stolto del Vangelo, perché ha rivolto il suo amore alle cose effimere di questo mondo» (Ageno).

vv. 19-22 «Come la salamandra vive sempre nel fuoco, così sembra che per te gli scandali siano piacere e gioco; sembra che ti curi poco della redenzione delle anime! Quale luogo ti si prepari, lo saprai al momento della morte». salamandra: motivo frequentatissimo nei bestiari e nella lirica provenzale e italiana: cfr. A. Menichetti, ed. Chiaro Davanzati, pp. LVIII-LIX.

vv. 23-26 «Se qualche vescovo può pagare qualcosa, lo assilli dicendogli di volerlo degradare; poi mandi il l’amministratore affinché si accordi con lui e potrà dare tanto che lo lascerai libero di tornare (al suo ufficio)». Ageno, Sull'invettiva, pp. 378-79 ha identificato il vescovo in questione con l’arcidiacono di Husillos.

vv. 27-30 «Quando ti fa comodo qualche castello con annesso latifondo, subito metti zizzania fra fratello e fratello; all’uno getti le braccia al collo e all’altro mostri il coltello; se non acconsente ai tuoi voleri, minacci di ferirlo».

vv. 31-34 «Pensi di poter dominare il mondo con l’astuzia; ciò che costruisci un anno, l’anno seguente lo distruggi. Il mondo non è un cavallo che si lascia tirare il freno e che tu puoi cavalcare a tuo piacimento!».

vv. 35-38 «Quando celebrasti la tua prima messa, tutto il paese si oscurò; in chiesa non rimase nessun lume acceso, tale tempesta si era sollevata laddove tu dicevi (messa)».

vv. 39-42 «Quando fu celebrata la tua incoronazione, al mondo non fu celato quello che vi accadde; quaranta uomini morirono all’uscir di casa! Con questo miracolo Dio mostrò quanto tu gli piacessi».

vv. 43-46 «Pensavi di essere il più adatto a sedere sul soglio pontificio, più di chiunque altro; chiamavi San Pietro affinché attestasse se sapeva qualcosa riguardo alla tua sapienza».

vv. 47-50 «Mettesti la tua sedia dalla parte del vento aquilone; la tua intenzione era contro Dio. Immediatamente ti accadde un’irreparabile disgrazia e non si trovò nessun medico che potesse guarirti». aquilone: cfr. Is 14, 13-14, dove Lucifero afferma: «sedebo in monte testamenti, in lateribus Aquilonis, ascendam super altitudinem nubium, similis ero Deo altissimo».

vv. 51-54 «Nuovo Lucifero che siedi sul soglio pontificio, lingua blasfema che hai avvelenato il mondo (in modo tale) che non si trova medicina (antidoto al veleno), fa vergogna proferire la bruttezza del peccato di cui sei infamato». spezia: Mancini, glossa ‘bellezza’, ‘cosa buona, nobile’ e spiega: «sì che (in esso mondo) non si trova più alcunché di bello e di nobile, ma solo bruttura di peccato». Contini, invece, prende atto dell’alterazione sofferta in questo punto dal testo e applica il verso a Bonifacio, nel senso che egli non risulterebbe «esente da nessun peccato, neppure i più infami». Mi sembra certo che spezia vale qui «medicina» e che vada riferita al verso che precede.

vv. 55-58 «Hai usato la tua lingua contro gli ordini religiosi, dicendo imprecazioni senza alcuna ragione; e Dio ti ha allora sprofondato in tanta confusione che ognuno si beffa di te, maledicendo il tuo nome». Continua qui il motivo della blasfemia del papa, cominciato nella strofe precedente e proseguito anche nella seguente: è evidentemente questo l'orribile peccato che fa vergogna persino menzionare. relïuni: con questo termine, in tutto il laudario vengono nominati gli Ordini religiosi, ma qui si fa riferimento a quelli in cui era praticata la povertà assoluta (Ageno, Sull'invettiva, pp. 384-85). maledire: gioca qui probabilmente con il nome del Papa, Benedetto, forse popolarmente «canzonato» dandogli del Maledetto. Cfr. in proposito Ubertino da Casale, Arbor vitae crucifixae, V, cap. VIII (Iesus falsificatus, riportato in Ageno, Sull'invettiva, p. 385): «dum legeret ad mensam ille qui melius scit, librum Iustini Martyris doctoris Greci super Apocalipsim, et venisset ad hunc locum, quando idem Iustinus, computando litteras Grecas, componit ex litteris huius numeri apud Grecos nomen istud Benedictos, quasi nominativus singularis huius nominis latini Benedictus, et dicit quod est nomen futurum predicte bestie».

vv. 59-62 «O lingua assassina nel dire cose villane e nel rinfacciare fatti umilianti con grande arroganza. Né imperatore, né re, né chiunque altro poteva prender congedo da te, senza che tu lo avessi ferito crudelmente».

vv. 63-66 «O malvagia avidità, sete che continuamente raddoppia e che porta a bere tanto denaro senza esser mai sazio! Tu, miserabile, non hai pensato per chi ne hai raccolto tanto: ché te la ha rubata qualcuno di cui non hai la minima idea».

vv. 67-70 «Durante la settimana santa, quando tutti piangevano, hai mandato il tuo séguito per Roma a divertirsi; ruppero lance, danzarono e cantarono; credo che Dio te ne debba punire con grande tormento». Il fatto è raccontato anche dal cardinale Pietro Colonna in una testimonianza al processo postumo contro Bonifacio: cfr. Ageno, Sull'invettiva, p. 387. salto: giostra, torneo.

vv. 71-74 «Hai mandato i tuoi cortigiani dentro San Pietro, dov'è il Santissimo, a fare danze e cori; tutti i pellegrini ne furono scandalizzati e maledissero le tue ricchezze, te e i tuoi cavalieri».

vv. 75-78 «Pensavi di poter prolungare la tua vita attraverso i sortilegi! Non si può sperare di ottenere ciò né per un anno, né per un giorno, né per un'ora! Vediamo che la vita termina improvvisamente mentre si è nel peccato, e che la morte si avvicina quando si pensa di gioire».

vv. 79-82 «Non trovo chi ricordi nessun papa del passato che si sia dilettato con tanta vanagloria; sembra che tu abbia gettato dietro il timor di Dio: è segno che ti senti senza speranza o nell'errore».

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