Ma la verità, il semplice segreto è che i capitani hanno raccolta nel petto una luce, sono nati per il comando. Il bambino che si nascose a bordo e si presentò sulla coperta quando ormai il bastimento solcava le onde, lo fece per liberare una forza, per soddisfare una voluttà. Il ragazzo aveva ansia di comandare, imporre il giudizio di fronte all’aggressione del mare. A quel tempo per di più c’era la vela, si navigava attraverso gli elementi, mare, cielo, il linguaggio del vento. Immersi in quel mistero, trovare la ragione umana, condurre una barca da un capo all’altro, un bastimento carico di mercanzie, vivo di uomini; ed essere di quello il re. Ed anche adesso con vapori di migliaia di tonnellate, neri e pesanti di ferro, con ventri capaci di contenere ricchezze, vapori che costano centinaia di milioni, il piacere del comando trova la sua droga.
Il capitano sa che esiste anche la possibilità dell’inabissamento, ma non ci pensa; lui è sempre occupato alla sua funzione, è responsabile di tutto. E se poi nascono le condizioni, se il mare aggredisce, allora sprigiona quella luce che possiede nel petto, in quei momenti è davvero col muso duro, non conosce un tentennamento, ha preparato tutto, sa l’arte, ha usato la disciplina con i marinai, e, con coraggio, anzi quasi con una allegria che ha della fanciullesca sfida, affronta col mare il combattimento.
Dominati da questa sorte, i capitani passano gli anni, trascorrono la vita.
E, se arrivati improvvisamente alla vecchiaia, si trovano a terra, tra cittadini occupati a intrighi di cui non intendono le fila, la loro barca in altre mani, lo scettro perduto, non c’è da stupirsi che intorno alle loro tempie ci siano i ghiaccioli della malinconia.
Mario Tobino, Sulla spiaggia al di là del molo