I capitani, scesi per l’ultima volta a terra, andati in pensione, vivono appartati e sono spesso avvolti da una malinconia che ha del vagamente ottuso, un grugno che non trova la via di disfarsi di un’amara commozione. Di rado si vedono in darsena e se mai di sfuggita; hanno qualcosa di monarchi in esilio senza speranza. Non hanno amici, stanno raccolti e silenziosi in quella loro famiglia che sempre sognarono e mai ebbero. Con i marinai, con i quali furono insieme nel pericolo, non scambiano volentieri parole, pur vivendo insieme a Viareggio, loro stesso paese.
Se interrogati rispondono come prima dovessero superare un ribollimento; e insomma si comportano spesso o come avessero esaurita la propria vena o avessero sbagliato vita.
I vecchi marinai sono invece allegri, di una felice bambineria, si godono la pensione; hanno il viso chiaro dove non c’è dipinto un peccato, un invidioso pensiero, parlano con tutti, ricchi e poveri, con la stessa affettuosa arguzia, rispondono con tranquillità alle domande più improvvise.
Forse il segreto di queste diverse vecchiaie è che i semplici marinai erano religiosi, incantati del mistero del mare, da una musica che ebbero tutto il tempo di ascoltare; i capitani invece stridevano nel loro archetto la brama del comando, ciechi a tutto il resto. Quella musica ancora consola ed appaga l’anima dei marinai; l’archetto del comando si è troncato.
Mario Tobino, Sulla spiaggia al di là del molo
Nessun commento:
Posta un commento