Quel bambino che tanto amava mare e bastimenti, divenuto giovanetto, andava dunque dal professor Puccinelli ad imparare arte marinara e alla fine, preso a Livorno il diploma, poteva chiamarsi capitano di lungo corso. Non con questo che fosse già un vero capitano, il quale si vede alla prova, in navigazione, al comando, e innanzitutto davanti al pericolo. È accaduto più volte che un giovane capitano monta a bordo, non gli affidano ancora il bastimento, aiuta il comandante, fa il secondo e si comporta benissimo, è coraggioso, esegue gli ordini, li interpreta con acume, ci aggiunge perfino una sua freschezza. Succede che il vecchio o perché si ammala o per altra ragione abbandona il comando. L’armatore, che ha avuto sempre ottimi ragguagli sul secondo, affida al giovane capitano il bastimento. È accaduto che questi già nei primi giorni si sente impacciato, diviene titubante; la responsabilità lo grava ed offusca, la realtà gli sfugge.
Se sorge il pericolo allora davvero si appalesa la sua incapacità, non ha polso, non dirige, non comanda, non si impone, non decide; il problema che deve essere rapidamente risolto è uguale a un mostro e lui è un bambino. I marinai si sono subito accorti che non ha fibra di capitano. Il pericolo si riallontana, ma ormai è umiliato, il mare gli è divenuto incomprensibile, un sogghignante nemico del quale è trastullo. Nella sua cuccetta di poppa si sente vinto, cambierà armatore, tornerà ad ubbidire, solo a ubbidire, forse cambierà mestiere.
Non è facile precisare le qualità che fanno un capitano, un capitano coraggioso. In genere si può dire che hanno un muso duro, anche da vecchi e deboli guardano dirittamente, senza alcuna dubbiezza. Ma questo del muso duro è un dato senza sostanza.
I famosi comandanti che ho conosciuto sono alieni dal raccontare prodezze e anche rivangare paure; il coraggio e il timore sono sentimenti che non amano prendere in considerazione.
Mario Tobino, Sulla spiaggia al di là del molo
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