È raro che io resti a lungo agitato per i problemi che possono sorgere nelle relazioni con gli altri. Evidentemente mi succede di sentirmi in collera, di irritarmi con qualcuno per qualche motivo, ma la cosa non dura a lungo. Ho la capacità intellettiva di fare la distinzione fra me e un altro, di vederci come due esseri sostanzialmente indipendenti (penso che sia giustificato chiamarla capacità intellettiva perché non è affatto un'operazione semplice, ma non e'è motivo di farsene vanto). Insomma, quando sono scontento o arrabbiato per qualche ragione, provvisoriamente sposto la causa del mio malumore in una sfera estranea alla mia persona. Poi faccio questa riflessione, okay, adesso sono irritato, ma la ragione di ciò ormai si trova in una zona dove non ho più modo di appurarla o modificarla a posteriori. E in questo modo congelo temporaneamente i miei sentimenti. In un secondo tempo, quando provo a scioglierli e a tentare con calma un'interpretazione, succede raramente che il mio animo sia ancora in subbuglio. Passato il tempo dovuto, la faccenda si riduce a qualcosa di inoffensivo che ha perso la sua virulenza. E prima o poi dimentico tutto.
Haruki Murakami, L'uccello che girava le viti del mondo
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