Wislow Homer, il più straordinario pittore di paesaggi e
figure che l’America possieda tra la fine del secolo e il principio del nuovo.
Quando in un anno per lui assai prolifico dipinge tre capolavori come Rete con le aringhe ma soprattutto Insidie nella nebbia e Perduti su una barca, è a un passo dai
suoi cinquant’anni. In quel 1885 si è già installato già da due anni in quello
che diventerà, per il resto della sua vita, il luogo
privilegiato del suo essere e del suo creare, il piccolo promontorio di Prout’s
Neck, sulla costa del Maine, oceano Atlantico.
Homer rivolge il proprio sguardo, l’intera sua vita all’incontro
definitivo con la luce e lo spazio del grande mare. C’è una bellissima
fotografia che ritrae Homer in piedi sulla terrazza del suo studio a Prout’s
Neck. Attorno solo il cielo, l’oceano, e la brughiera spesso spazzata del vento
che ogni cosa della luce scompagina, in continui e incessanti movimenti. Bisogna
venirci su questa costa del Maine, come in un pellegrinaggio. Bisogna venirci i
guardare per capire. Cosa sia la solitudine davanti all’immenso, cosa sia il
fragore del vento che romba in grandi onde d’aria, prima chiara e poi sempre
più scura. Onde che si spandono e mettono al cuore paura. Cosa sia il senso, e
il sentimento, del grande mare.
Il pittore guarda. Attorno a sé ha l’azzurro e il grigio e
il bianco apparentemente senza confini. L’oceano quasi lo circonda, e lui si volge
verso più punti per abbracciare il gran teatro del mondo.
Homer guarda il mare come una meraviglia che si rinnova, non ha mai
fine. Nei tre quadri celebri del 1885, possiamo affermare che si dica del senso
del pericolo davanti all’immenso, della lotta dell’uomo con gli elementi.
Marco Goldin
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