«Chi era?», domandò mio padre, non appena fui rientrato in tinello. Nella stanza non era rimasto che lui. Sedeva in poltrona accanto al mobiletto della radio, nella abituale, ansiosa attesa del notiziario delle due.
«Alberto Finzi-Contini.»
«Chi? Il ragazzo? Che degnazione! E cosa vuole?» Mi scrutava coi suoi occhi azzurri, smarriti, che da molto tempo avevano perduto la speranza di impormi qualcosa, di riuscire a indovinare quello che mi passasse per la testa. Lo sapeva bene - mi diceva con gli occhi -, che le sue domande mi infastidivano, che la sua continua pretesa di ingerirsi nella mia vita era indiscreta, ingiustificata. Ma santo Dio, non era mio padre? E non vedevo come fosse invecchiato, in quell'ultimo anno? Con la mamma e con Fanny non era il caso che si confidasse: erano donne. Con Ernesto nemmeno: troppo putin. Con chi doveva parlare, allora? Possibile che non capissi che era proprio di me che lui aveva bisogno?
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi Contini
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