La prima cosa che impariamo, dunque, della comunità ebraica di Ferrara degli anni Trenta è che, pur contando poche centinaia di anime, è tutt'altro che compatta. Al contrario, si fonda sullo scisma. La sinagoga principale è divisa in un primo piano che segue il culto tedesco e un secondo piano che segue il culto italiano, mentre una sinagoga orientale più piccola e discreta rimane a sé stante. Paradossalmente, la consapevolezza di queste assurde divisioni crea una forte complicità tra gli ebrei della città, a qualsiasi gruppo appartengano: sono al corrente di segreti che il resto della società italiana non potrebbe mai nemmeno immaginare. Ne emerge una psicologia che fa perfettamente al caso di chi cerca di spiegare la società multietnica di oggi: «Gli altri, tutti gli altri [i non ebrei], senza escludere dal novero nemmeno i compagni di scuola, gli amici d'infanzia e di giochi incomparabilmente più amati (almeno da me), inutile pensare di erudirli in una materia così privata. Povere anime! A questo proposito non erano da considerarsi tutti, se non degli esseri semplici e rozzi condannati a vita in fondo a irrimediabili abissi di ignoranza, ovvero - come diceva perfino mio padre, sogghignando benignamente - dei «negri goim». In questo senso è la comunità ebraica a escludere gli altri e non viceversa. Molti personaggi ebrei del romanzo nutrono un complesso di superiorità nei confronti dei non ebrei, complesso che effettivamente si intensifica quando, nel '38, inizia la persecuzione vera e propria, fosse anche soltanto perché è palesemente brutale e insensata.
Tim Parks, L'allarmante modernità dei Finzi Contini
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