Particolare del chiostro interno
Alseno (Piacenza)
giovedì 29 dicembre 2011
mercoledì 28 dicembre 2011
Mistica del nulla
Per arrivare là,
per arrivare dove voi siete,
per andar via da dove non siete,
dovete fare una strada nella quale non c'é estasi.
Per arrivare a ciò che non sapete
dovete fare una strada che è quella dell'ignoranza.
Per possedere ciò che non possedete
dovete fare la strada della privazione.
Per arrivare a quello che non siete
dovete andare per la strada nella quale non siete.
E quello che non sapete è la sola cosa che sapete
e ciò che avete è ciò che non avete
e dove siete è là dove non siete.
Eliot - East Cocker
per arrivare dove voi siete,
per andar via da dove non siete,
dovete fare una strada nella quale non c'é estasi.
Per arrivare a ciò che non sapete
dovete fare una strada che è quella dell'ignoranza.
Per possedere ciò che non possedete
dovete fare la strada della privazione.
Per arrivare a quello che non siete
dovete andare per la strada nella quale non siete.
E quello che non sapete è la sola cosa che sapete
e ciò che avete è ciò che non avete
e dove siete è là dove non siete.
Eliot - East Cocker
martedì 27 dicembre 2011
Il viaggio
La vita é un viaggio continuo, é ricerca di un luogo ogni volta diverso e nuovo, perché solo così nella ripetizione del gesto, si crea l'esatta giunzione tra il tempo della nascita e il tempo della morte.
Marco Goldin
lunedì 26 dicembre 2011
venerdì 16 dicembre 2011
Ermellino
I filosofi naturalisti raccontano che l'ermellino é un animaletto dal pelo bianchissimo, e che i cacciatori per catturarlo usano questo stratagemma: conoscendo i posti dove é solito passare, li ostruiscono con del fango, dopodiché lo spaventano e lo costringono a tornare verso lo sbarramento fangoso; l'ermellino arrivato nei pressi della fanghiglia si immobilizza e si lascia prendere e catturare, pur di non passare attraverso quella melma e sporcare, cosí, il suo biancore, che reputa piú importante della libertá e della vita.
Cervates - Don Chisciotte della Mancia
Cervates - Don Chisciotte della Mancia
domenica 11 dicembre 2011
sabato 10 dicembre 2011
Ariosto e Dosso Dossi
Per suggerire un modo più concreto per guardare ad un
maestro così interessante come Dosso Dossi, si può ricordare un paragone
letterario. Al tempo in cui Dosso Dossi lavorava proprio nell’ambito della
corte ferrarese emerse uno dei poeti più grandi di tutti i tempi, Ludovico Ariosto
che compose l’Orlando Furioso, un poema nacque in quel tempo, in quel ambiente culturale.
E’ un poema cavalleresco che in verità non lo è nel senso in cui lo dovevano
essere questo tipo di opere letterarie, ma è una specie di gigantesca parodia
(nell'antico significato del termine: non una presa in giro, ma una riscritura di cose già dette da altri da un altro punto di vista) del poema cavalleresco medesimo: assomiglia ad un altro sommo capolavoro della
letteratura universale che arrivò parecchio più tardi, e cioè il Don Chisciotte
di Cervantes. Tra il Don Chisciotte e l’Orlando Furioso c’è un rapporto:
entrambe prendono un genere letterario importante, il poema epico, e ne fanno
una sorte di grande parodia, cioè di trasformazione
dei contenuti normali del poema stesso in una dimensione di ironia, di sogno,
di favola, di uscita dalla realtà per immergersi completamente nella pura
immaginazione, la quale però è molto bella, molto seducente e molto
interessante. L’Ariosto e Dosso Dossi rappresentano due momenti di un certo
modo di pensare l’arte.
Claudio Strinati
Ingannare l'osservatore
La gara con la realtà è un tema che tantissimi artisti si
sono posti e si pongono nel corso di tutta la storia dell’arte. Capita sempre
che ci sia un pittore che ritiene di avere come scopo fondamentale quello di ingannare l’osservatore, di strappargli
un moto di meraviglia. Quando si sta davanti all’opera d’arte quella sembra
vera. E molti sono convinti che proprio in questo fatto risiede la grandezza
dell’arte: la capacità di sostituirsi alla realtà e di e di essere così
convincente da farci credere che quell’opera d’arte è sì una pittura, è
qualcosa di non vero, ma è come se fosse vero, anzi è molto meglio del vero;
perché la verità ce l’abbiamo sempre davanti agli occhi: la realtà quotidiana è
verità, almeno è verità della percezione: quando la vediamo in un’opera d’arte
diventa bellissima.
Claudio Strinati
Dosso Dossi: Apollo e Dafne
Dosso Dossi nasce nella corte di Ferrara ma lo troviamo
anche a Trento, a Pesaro e tanti altri luoghi.
Egli arrivò così avanti nel suo lavoro da essere mal
compreso, accantonato. Può essere classificato come un avvenirista, come un uomo
che ha guardato così avanti da non essere ben compreso nel suo tempo (il ‘500),
e che poi è stato dimenticato dopo, quando le sue previsioni si realizzarono. Ad
esempio nella galleria borghese di Roma si trovano due dipinti notevoli di
Dosso Dossi: per entrambi è difficoltoso capire quale sia il soggetto (a meno
di non leggere la targhetta), mentre normalmente chi è educato alla storia dell’arte
non ha difficoltà a capire quale sia l’argomento raffigurato nelle opere.
Il primo quadro rappresenta una donna seduta in un paesaggio
che tiene in mano degli strani oggetti e che guarda in lontananza. Intorno a
lei ci sono cose varie che non hanno una chiara connessione l’una con l’altra. L’altro
quadro (Apollo e Dafne) del Dosso raffigura un personaggio che tiene uno
strumento musicale in mano e anche lui guarda come fosse ispirato al di fuori
del quadro, ma non si intende bene chi sia e che cosa il quadro voglia dire: si
tratta invece di due opere somme del ‘500, come sono le opere di Dosso Dossi. Nella
mitologia greca la storia di Apollo e Dafne consiste nel fatto che il dio Apollo
(molto legato all’arte perché musicista) insegue una ninfa, Dafne, che non può
essergli concessa per volere divino. E mentre c’è questo inseguimento Dafne
implora il cielo di non essere posseduta dal dio che la insegue, ed il cielo la
trasforma nell’albero dell’alloro. Di solito nelle raffigurazioni curioso
argomento mitologico si vede Apollo che insegue la ninfa e lei che si sta
mutando in un albero: ma nel quadro di Dosso Dossi tutto questo non si vede. O
per meglio dire si vede in modo diverso rispetto alla tradizione precedente e a
quella che lo seguirà. In realtà l’argomento del quadro è il dio Apollo, e l’immagina
giganteggia nel quadro. Egli è raffigurato come un musico che sta per eseguire
un brano musicale e guarda lontano come aspettando che l’ispirazione entri in
lui, lo possieda. E Dafne si vede piccolissima, microscopica nello sfondo del
quadro, che è un paesaggio bellissimo: si vede una fanciullina come inglobata
dentro un albero.
Dosso Dossi fu il primo pittore nella storia dell’arte italiana
che divenne creatore in prima persona degli argomenti che trattava, e lo
divenne esaltando quella qualità che l’abate Lanzi chiama il “chiaroscuro”, e
che consiste nel modellare le immagini quasi a gara con la realtà, l’evidenza
dell’immagine che occupa lo spazio con la stessa forza, la stessa energia, la
stessa esattezza con cui lo occupiamo noi stessi. Osservando questo maestro si
rimane colpiti dall’energia della sua arte, dalla potenza del suo fare: egli è
molto convincente come se egli avesse suggerito a chi guarda una specie di gara
con la realtà.
Claudio Strinati
Claudio Strinati
Lanzi, colorito e chiaroscuro
L'abate Luigi Lanzi, un antico storico dell'arte, nel suo
libro La storia pittorica d'Italia,
spiega come nel grande maestro Raffaello, il principe degli artisti
rinascimentali, si possano ritrovare tutte le parti della pittura, e cioè come
Raffaello sia il simbolo del pittore per eccellenza, colui il quale sa tutto,
controlla tutto e riesce a realizzare ogni aspetto dell’arte.
Tra gli aspetti dell’arte che il Lanzi illustra, c’è quello
che il Lanzi chiama il “colorito”, vale
a dire l’eccellenza del pittore nella capacità di utilizzare il colore. E tale
eccellenza era vista in quel tempo nell’opera di Sebastiano del Piombo.
Un’altra parte fondamentale della pittura analizzata dal
Lanzi c’è il “chiaroscuro”: è quella
particolare attitudine attraverso la quale l’artista, il pittore dà volume alle
sue immagini. Anche in questo caso si può fare un paragone tra Raffaello e
altri artisti del suo tempo.
Nel corso della storia questo aspetto è molto cambiato. Se
si pensa alla storia dell’arte medioevale, quando le immagini che vediamo appaiono
poco rilevate sul piano, o all’arte bizantina, dove la nostra percezione è
quella di figure che sembrano ritagliate, prive di spazio, tuttavia sempre c’è
stato nel lavoro degli artisti questa attenzione a dare corpo alle immagini. Secondo
le analisi del Lanzi c’era stato nel ‘500 un ambiente dove questa attitudine si
era molto sviluppata: il mondo veneto ferrarese, quella scuola artistica che
fiorì nel nord Italia soprattutto alla corte di Ferrara.
Il Garofano, l’Ortolano, Dosso Dossi sono tre grandi maestri
della scuola ferrarese. Il Garofalo e l’Ortolano rimasero per tutta la vita ancorati
al loro ambiente d’origine, anche se oggi le loro opere sono in giro per il
mondo. Questi artisti della corte ferrarese lavoravano in un ambiente ai
confini con lo stato Pontificio, e pertanto in un confine politico, geografico
e culturale nell’ambito dell’Italia tutta: era una zona caratterizzata da una
laicità che si contrapponeva alla cultura fiorita nell’ambito della curia
romana. Le loro opere rappresentano una coscienza laica, anche se rappresentano
opere di arte sacra: quando furono conosciute fuori dal loro ambiente
provocarono una impressione fortissima. Alcune di queste opere si possono vedere
nella Galleria Borghese di Roma. Una delle più grandi opere del ‘500 qui
rappresentate è dell’Ortolano: Cristo deposto dalla croce. Questo quadro
eseguito nei primi anni del 500 sembra il simbolo stesso della solennità, della
grandezza morale, della quiete solenne che vive naturalmente all’interno dei
grandi spiriti. Un’opera magnifica di colore, potentissima in quel chiaroscuro
di cui parla il Lanzi, cioè l’attitudine a dare volume, presenza, potenza,
forza alle figure.
giovedì 8 dicembre 2011
Resurrezione di Lazzaro di Sebastiano del Piombo
E' una sorta di 'poema della notte'. Il Maestro ha immaginato che il miracolo di Cristo avvenga a Roma, sulle rive del Tevere, ed in un flusso tenebroso di luce si vede in lontananza, dietro alle sacre figure, la sponda del del fiume, con delle donne che vanno a lavare i panni (un semplice episodio di vita quotidiana): si vedono lontanissimo. In primo piano giganteggiano le figure sacre, e Cristo sembra un antico romano, un oratore, un uomo che sta pronunciando una sentenza che resterà solenne nella storia; e di fronte a lui Lazzaro, che si risveglia dalla tomba, e sembra un titano, un pugile, che è stato sì colpito duramente, ma che è ancora forte, potente.
La contrapposizione tra queste due opere (Trasfigurazione di Cristo di Raffaello e Resurrezione di Lazzaro di Sebastiano del Piombo) è una dei più grandi simboli di tutta la cultura e dell'arte italiana del rinascimento.
National Gallery di Londra
Trasfigurazione di Raffaello
Pala d'altare commissionata da Giulio de Medici.
É il poema della luce.
É divisa in due parti: nella parte inferiore vi é una sorta di 'regno delle tenebre', nella parte superiore Cristo trasfigurato sembra quasi dipinto con la luce stessa, con la materia della luce.
Musei vaticani
É il poema della luce.
É divisa in due parti: nella parte inferiore vi é una sorta di 'regno delle tenebre', nella parte superiore Cristo trasfigurato sembra quasi dipinto con la luce stessa, con la materia della luce.
Musei vaticani
sabato 3 dicembre 2011
Gli indifferenti
Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.
[…]
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivi
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.
[…]
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivi
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Moravia - Gli Indifferenti
Iscriviti a:
Post (Atom)