sabato 14 aprile 2012

Colore come strumento - Rothko







Una prima sensazione che si potrebbe provare osservando questa tela è quella di smarrimento e incertezza. Infatti il dipinto richiede allo spettatore uno sforzo emotivo per il quale spesso non si è pronti. La nota predominante di colore rosa galleggia impalpabile, confondendo i propri contorni di colori sfumati con altre zone di colore verde, grigio, arancio, blu, bianco azzurro. Il nostro sguardo vaga alla ricerca di una forma, di un discorso finito, e alla fine si lascia avvolgere dalle emozioni che questi colori suscitano. Mark Rothko, l’autore della tela (N. 19 Senza titolo, 1949), in più di un’occasione ha rimarcato nella sue interviste di non essere un pittore astratto. A lui interessava esprimere le emozioni dell’uomo, coinvolgere e commuovere lo spettatore. Anzi  una volta ha addirittura detto che le persone che piangono davanti ai suoi quadri, stanno vivendo la stessa esperienza religiosa che ha vissuto lui quando li ha dipinti.
Realizzata nel 1949, questa tela appartiene ad una serie di lavori che segnano una inversione di stile in Rothko, che abbandona la raffigurazione biomorfica dei primi anni, per realizzare quadri monumentali. I cosiddetti multiforms sono caratterizzati da una essenzialità e semplicità, e ottenuti sovrapponendo strati di colore, brillante o cupo, sfumato e brillante. Il critico Clement Greenberg incluse Rothko nel gruppo dei pittori denominato color feel painting, interno al movimento dell’espressionismo astratto. Si trattava di pittori che prediligevano la stesura si tele di canapa di grandi dimensioni di ampie superfici di colore puro. Rothko cercò invece di prendere sempre le distanze dall’espressionismo astratto, sia da ogni altro movimento o etichetta, proprio perché considerava il colore uno strumento per realizzare i propri quadri, non esso stesso il soggetto dei propri quadri. I dipinti, nella sua concezione, sono table vivent dell’incomunicabilità umana, e dunque custodiscono un contenuto fortemente spirituale. Essi si elevano ad una dimensione atemporale, rifuggendo ad ogni lettura definitiva o oggettiva, legandosi così con lo spettatore in un rapporto emozionale profondo.


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