mercoledì 25 ottobre 2017

Panico di un uomo abbandobato

- Al cosa stai facendo? 
Si voltò verso la soglia dove era apparsa Enid. Cominciò una frase: - Sto ... - ma quando veniva colto di sorpresa ogni frase diventava un'avventura nella foresta; non appena perdeva di vista la luce della radura da cui era entrato, si accorgeva che le briciole che aveva seminato per orientarsi erano state mangiate dagli uccelli, esseri che sfrecciavano silenziosi nelle  tenebre e che lui non poteva vedere ma che si accalcavano così numerosi per la fame da sembrare tenebra loro stessi, come se l'oscurità non fosse uniforme, non fosse assenza di luce ma una cosa brulicante e crepuscolare, e in effetti quando da studente aveva incontrato la parola "crepuscolare" nel McKay's Treasury of English Verse, ne aveva fuso il significato con i crepuscoli della biologia, e così aveva continuato a vedere nel crepuscolo la corpuscolarità, come la grana della pellicola più sensibile che si usa per fotografare quando la luce è scarsa, come una specie di sinistra decadenza; e da qui era nato il panico di in uomo abbandonato nel folto della foresta, la cui oscurità era quella degli storni che cancellavano il tramonto o delle formiche nere che assalivano il cadavere di un opossum, un'oscurità che non solo esisteva ma che consumava con risolutezza i punti di riferimento che lui aveva saggiamente fissato per non perdersi; ma nell'istante in cui capiva di essersi smarrito, il tempo diventava straordinariamente lento, e Alfred scopriva eternità inimmaginabili nello spazio tra una parola e l'altra, o piuttosto rimaneva intrappolato nello spazio tra le parole, e restava a guardare il tempo che correva senza di lui.

Le correzioni, Jonathan Franzen

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