Il nostro mondo, con la sua spinta compulsıva e ossessiva alla «modernizzazione», ha sviluppato fin dall'inizio due industrie di massa dello «scarto umano», - quelle che ho tentato di analizzare in Vite di scarto. Una di tali industrie è quella della costruzione di ordine (che non può far altro che produrre massicciamente rifiuti umani, soggetti inadatti», esclusi dalla società ordinata come si deve - «normale»). L'altra industria, detta «progresso economico», sforna enormi quantità di avanzi umani: esseri che non hanno alcun posto nell'«economia», alcun ruolo utile da svolgere, alcuna opportunità per guadagnarsi da vivere, almeno nei modi considerati legali, raccomandati o almeno tollerabili. Lo Stato sociale (welfare) è stato un tentativo ambizioso di smantellare progressivamente queste due industrie. È stato un progetto ambizioso (forse troppo) per includere tutti e rimuovere gradualmente le prassi di esclusione sociale fino a farle scomparire del tutto. Efficace per molti aspetti, anche se carente per tanti altri versi, lo Stato sociale viene a sua volta progressivamente smantellato, mentre le industrie che producono scarti umani sono state riattivate e lavorano a pieno ritmo: la prima produce «estranei» («senza documenti», immigrati illegali, falsi profughi e «indesiderabili» di ogni tipo), l'altra crea «consumatori difettosi». Entrambe producono in massa una «sottoclasse», che non è una «classe inferiore» situata all'ultimo gradino della scala delle classi, ma è formata da coloro che non si collocano in alcuna classe sociale, e sono stati espulsi dal sistema delle classi della «società normale».
Zygmunt Bauman, Vite che non possiamo permetterci
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