venerdì 9 agosto 2024

Mel e fel

Tra il finire del 1448 e l'inizio dell'anno seguente, ormai vicino alla fine del suo mandato, l'operaio Giovanni Borghesi fa rivestire di marmo il sagrato del Duomo, ove sono raffigurate due anfore che attualmente recano le scritte "MEL" (miele) e "LAC" (latte). In origine, al posto di "LAC" era scritto "FEL" (Fiele) come dà prova lo storico Sigismondo Tizio nelle Historiae Senenses, una fonte autorevole poiché ai primi del Cinquecento è stato vicario del vescovo, conoscitore della cattedrale, dotato di cultura classica e biblica per interpretare i significati delle tarsie, oltre a essere favorito dalla possibilità di attingere alla generazione precedente che aveva assistito alla realizzazione dell'opera'. La scritta originaria intende significare che la vita riserva agli uomini il dolce e l'amaro, tanto il bene quanto il male, cum bona, tum mala. In questa prospettiva, il Tizio ricorda un passo del secondo libro della Consolazione della filosofia di Boezio: "Non apprendesti forse da ragazzo che sulla soglia della reggia di Giove sono poste "due anfore, l'una piena di mali, l'altra, invece di beni?"''. Nel capitolo, la filosofia si rivolge all'autore impersonando la Fortuna che tiene il suo discorso e, sulla scorta di Seneca, lancia l'invito a non lamentarsi di fronte alla perdita di ciò che nel corso dell'esistenza viene eventualmente tolto, un motivo della letteratura consolatoria. Quanto ai vasi collocati in lovis limine, nel testo latino si inserisce una libera citazione in greco derivata dall'Iliade di Omero (XXIV, 527-528), probabilmente appresa da Boezio, come riferito nel passo, nella sua educazione giovanile, adulescentulus. Priamo implora Achille di restituirgli il corpo del figlio morto e desta la sua commozione ricordandogli suo padre Peleo, generando "il pianto simmetrico per i due distinti lutti". L'eroe si stupisce per la straordinaria forza d'animo, il "cuore di ferro", e la temerarietà del vecchio, che ha osato affrontare colui che ha ucciso Ettore. Lo invita a sedersi, dopo aver entrambi a lungo pianto, e dice a Priamo che gli dei hanno "filato" il destino dei mortali in modo da essere afflitti, mentre loro sono immuni dalle pene (vv. 525-531): 
Questo destino hanno dato gli dei ai mortali infelici: 
vivere afflitti, ma loro sono immuni da pena. 
Ci sono due vasi nella sala di Zeus, e l'uno contiene 
I mali che distribuisce agli uomini, e l'altro i beni:
a chi li dà mescolati Zeus fulminante, 
quando si trova nel bene e quando nel male; 
ma a chi dà solo dei mali, ne fa un disgraziato.
Dal confronto con i versi omerici, risulta di particolare rilievo l'immagine dei due vasi incisi sul sagrato del Duomo, alle due estremità, non a caso inquadrati ognuno da una sorta di tempio. Come si può notare, nella traduzione dell'Iliade, secondo una più corretta interpretazione, le due anfore sono nella "sala" di Zeus: "l'immagine... deriva da una fantasia allegorica.., ma un singolare incidente traduttivo, costantemente ripetuto nel tempo, ne ha segnato la versione più diffusa" ossia la presenza delle due giare sulla soglia della dimora di Giove.

Marilena Caciornia, Un libro di marmo. Il pavimento del duomo di Siena

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