E' buio. Nero. Buio pesto. Piove. Tuoni e fulmini lambiscono il cielo. La pioggia e' talmente intensa che sembra di essere al centro di una cascata. Sono le 5.30 di un mattino di novembre. E' lunedì e devo andare a lavoro. Mi gira una musichetta per la testa che suona cosi'; "e' una di quei giorni che ti sale la malinconia ...". Eppure si esce. A cavallo del fedele scooter. Dopo una veloce vestizione di rito, come un cavaliere senza scudiero che da solo deve accingersi ad affrontare un'armata. Un lungo viaggio mi aspetta prima di iniziare la battaglia, prima di raggiungere la meta.
Si parte. Le luci si accendono. Il motore romba.
Alla prima curva mi accorgo pero' che e' una battaglia diversa dalle altre: la strada e' un invaso d'acqua, e non si vede nulla! Ci vuole un immane gioco di memoria per ricordarsi il percorso, per intuire quando e' il momento di curvare, per immaginare quando sotto quella colonna d'acqua si nasconde una buca profonda, per dedurre che da quella strada inclinata sta scivolando un treno d'acqua che come un fiume che esce dall'ansa si incanala per la via più veloce che trova. E allora pensi, anche se non hai il tempo di pensare, e vedi in un angolo della tua mente un'immagine remota, che come un fulmine che illumina la notte ti balena avanti agli occhi: e' come quando eri bambino e c'era la pioggia, e, incurante di arrivare asciutto a scuola, tuffavi i tuoi piedi sulle pozzanghere lungo la strada, curando di cercare quelle più profonde, con la certezza di raggiungere la soddisfazione di sentire quello "splash", quel suono, quella musica che accompagna ogni tuffo, e che ti faceva salire verso l'alto la curvatura della bocca, in un sorriso di gaia felicita'.
E intuisci che gia' da allora avevi capito che cio' che conta non e' la meta, ma il viaggio.
E sorridi di questa scoperta, divertendoti a guidare nel temporale come con una'acquascooter nel mare.
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