venerdì 24 maggio 2019

Beatitudine e certezze

Se oggi ripenso a quelle conversazioni con mio padre, e rívedo le scene di quell'epoca lontana, tutto per me prende un significato differente da allora. E mi viene in mente la favola di quel cappellaio che piangeva o rideva sempre a sproposito: giacché gli era dato di scorgere la realtà unicamente attraverso le immagini d'un specchio stregato. Dei discorsi di mio padre (sia che fossero in tono di commedia, o di tragedia, o di gioco) io, a quel tempo, non potevo intendere altro se non quanto rispondeva alla mia certezza indiscussa: che lui, cioè, fosse l'esempio incarnato della perfezione e felicità umana! Anche lui, forse,a dire la verità, favoriva quei miei concetti di ragazzino, mostrando, per abitudine, il proprio personaggio in una luce di vanti. Ma seppure (poniamo un caso inverosimile), gli fosse venuta la fantasia di calunniarsi facendomi le più nere confessioni e dichiarandosi una canaglia impunita, per me sarebbe stato lo stesso. Le sue frasi, per me, si straniavano da ogni ragione e valore terrestre. Io le udivo come s'ode una liturgia sacra, dove il.dramma recitato non è più che un simbolo, e la verità ultima che si celebra: è una beatitudine.

Elsa Morante, L'isola di Arturo 

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