martedì 28 dicembre 2010
martedì 21 dicembre 2010
Fare ciò che sembra giusto
Brama di vivere - Irving Stone
Rembrandt
Brama di vivere - Irving Stone
venerdì 10 dicembre 2010
Morte
Madame Bovary - Flaubert
domenica 5 dicembre 2010
Palcoscenico
A stage, where every man must play a part,
And mine a sad one.
Graziano, il mondo io lo tengo in conto
sul quale ognuno recita la parte
che gli è assegnata. Quella mia è triste.
Shakespeare - Il mercante di Venezia
sabato 4 dicembre 2010
venerdì 3 dicembre 2010
domenica 28 novembre 2010
Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da argenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all'umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d'oro
e l'albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l'assenzio
di una sopravvivenza negata.
Alda Merini
Anima smarrita
Hospes comesque corporis
Quae nunc adibis in loca
Pallidula, rigida, nudula
Nec, ut soles, dabis iocos
Piccola anima smarrita e soave,
Compagna e ospite del corpo,
Ora ti appresti a scendere in luoghi
Incolori, ardui e spogli
Ove non avrai più gli svaghi consueti
Adriano
sabato 27 novembre 2010
No ceiling
When I can feel
That there's nothing left to be concealed
Moving on a scene surreal
No, my heart will never
Will never be far from here
Sure as I am breathing
Sure as I'm sad
I'll keep this wisdom in my flesh
I leave here believing more than I had
And there's a reason I'll be
A reason I'll be back
As I walk
The Hemisphere
Got my wish
To up and disappear
I been wounded
I been healed
Now for landing I been
Landing I been cleared
Sure as I'm leaving
Sure as I'm sad
I'll keep this wisdom
In my flesh
I leave here believing
More than I had
This Love has got
No Ceiling
Arriva il mattino
quando riesco a sentire che
non è rimasto niente da cui nascondersi
mi muovo in una scena surreale
no, il mio cuore non sarà mai,
non sarà mai lontano da qui
sicuro come il fatto che sto respirando
sicuro come il mio essere triste
terrò questa saggezza nella mia carne
me ne vado da qui credendo più di prima
e c'è una ragione, una ragione per cui tornerò
mentre cammino per l'emisfero
ho il desiderio di sollevarmi e scomparire
sono stato ferito, sono stato guarito
adesso per atterrare, per atterrare sono stato liberato
sicuro come il fatto che sto respirando
sicuro come il mio essere triste
terrò questa saggezza nella mia carne
me ne vado da qui credendo più di prima
questo amore non ha un tetto
Eddie Vedder
Rise
You can never know
Just where to put all your faith
And how will it grow
Gonna rise up
Burning black holes in dark memories
Gonna rise up
Turning mistakes into gold
Such is the passage of time
Too fast to fold
Suddenly swallowed by signs
Low and behold
Gonna rise up
Find my direction magnetically
Gonna rise up
Throw down my ace in the hole
Questo è il modo in cui va il mondo
non puoi mai sapere
dove mettere tutta la tua fede
e come crescerà
mi solleverò
bruciando dei buchi neri nei ricordi bui
mi solleverò trasformando gli errori in oro
questo è il modo in cui passa il tempo
troppo veloce da domare
improvvisamente ingoiato dai segni
guarda!
mi solleverò
troverò la mia direzione magneticamente
mi solleverò
giocherò il mio asso nella manica
Eddie Vedder
Le mail ti raggiungono ovunque con BlackBerry® from Vodafone!
venerdì 26 novembre 2010
Prendi e vai
Dovrai farlo in regime d'economia, niente motel, preparati il mangiare da solo e, come regola generale, spendi il meno possibile, perché così ti ritroverai ad apprezzare immensamente ogni cosa. Spero che la prossima volta che ti vedrò sarai un uomo con una sfilza di nuove esperienze e avventure alle spalle. Non esitare o indugiare in scuse.
Prendi e vai. Sarai felice di averlo fatto.
Jon Krakauer - Nelle terre estreme
lunedì 22 novembre 2010
domenica 21 novembre 2010
Eraclito e l'unità dei contrari
L'armonia del mondo non risiede nella conciliazione dei contrari, ossia nel raggiungimento di una quiete morta, bensì nel mantenimento del conflitto. La vita è lotta e opposizione e la sua armonia risiede proprio in questo fatto, senza di cui non ci sarebbe l'essere.
Itinerari di filosofia - N. Abbagnano e G. Fornero
Eraclito e panta réi
Itinerari di filosofia - N. Abbagnano e G. Fornero
Eraclito e l'anima
Itinerari di filosofia - N. Abbagnano e G. Fornero
Pitagora e Metenpsicosi
Itinerari di filosofia - N. Abbagnano e G. Fornero
Anassimene e l’aria
Come Talete, Anassimene riconosce come principio una materia determinata, che è l’aria; ma a tale materia riconosce i caratteri del principio di Anassimandro: l’infinità e il movimento incessante. Egli vedeva nell’aria anche la forza che anima il mondo.
Il mondo è come un animale gigantesco che respira: e il respiro è la sua vita e la sua anima. Dall’aria nascono tutte le cose che sono, che furono e che saranno, e anche gli dei e le cose divine. L’aria è il principio di ogni movimento e di ogni mutamento. Il modo in cui l’aria determina la trasformazione delle cose, il processo di rarefazione e di condensazione. Rarefacendosi, l’aria diventa fuoco, condensandosi diventa vento, poi nuvola e, condensandosi ancora, acqua, terra e quindi pietra.
Itinerari di filosofia – N. Abbagnano e G. Fornero
Anassimandro e giustizia
«tutti gli esseri devono, secondo l’ordine del tempo, pagare gli uni agli altri il fio della loro ingiustizia».
La legge di giustizia che Solone riteneva dominatrice del mondo umano, legge che punisce la prevaricazione e la prepotenza, diventa legge cosmica, legge che regola la nascita e la morte dei mondi. Ma qual è l’ingiustizia che tutti gli esseri commettono e che tutti devono espiare? Probabilmente essa è dovuta alla costituzione stessa e quindi alla nascita degli esseri, dato che nessuno di essi può evitarle, né può sottrarsi alla pena. Ora la nascita è la separazione degli esseri dalla sostanza infinita. Evidentemente questa separazione è la rottura dell’unità che è propria dell’infinito; è il subentrare della diversità, quindi del contrasto, là dove erano l’omogeneità e l’armonia. Con la separazione quindi si determina la condizione propria degli esseri finiti: molteplici, diversi e contrastanti tra loro, perciò inevitabilmente destinati a scontare con la morte la loro stessa nascita e ritornare all’unità.
Itinerari di filosofia – N. Abbagnano e G. Fornero
Anassimandro e separazione
Anassimadro si è anche posto il problema del processo attraverso il quale le cose derivano dalla sostanza primordiale. Tale processo è la separazione. La sostanza infinita è animata da un eterno movimento, in virtù del quale si separano da esso i contrari: caldo e freddo, secco e umido, etc. per mezzo di questa separazione si separano i mondi infiniti, che si succedono secondo un ciclo eterno. Per ogni mondo il tempo della nascita, della durata e della fine è segnato.
Itinerari di filosofia – N. Abbagnano e G. Fornero
Anassimadro e ápeiron
Anassimandro per primo chiamò la sostanza unica col nome di principio (arché); e riconobbe tale principio non nell’acqua o nell’aria o in altro particolare elemento, ma in un principio infinito o indeterminato (ápeiron) dal quale tutte le cose hanno origine e nel quale tutte le cose si dissolvono, quando è terminato il ciclo stabilito per esse da una legge necessaria. Questo principio infinito abbraccia e governa ogni cosa; per suo conto è immortale e indistruttibile, quindi divino.
Itinerari di filosofia – N. Abbagnano e G. Fornero
Talete e l'acqua
Metafisica - Aristotele
Sostanza primordiale
Essi (scuola ionica di Mileto) denominano tale sostanza «arche'» (=principio), intendendo, con questo concetto, la "materia" da cui tutte le cose derivano e la "forza" o "legge" che spiega la loro nascita o morte. Da cio' l'«ilozoismo» e il «panteismo» di questi primi filosofi: ilozoismo (dal greco "materia vivente") in quanto essi ritengono che la materia primordiale sia fornita da una forza intrinseca che la fa muovere; panteismo (dal greco "tutto e' Dio") poiche' tendono a identificare il principio eterno del mondo con la divinita'.
Itinerari di filosofia - N. Abbagnano e G. Fornero
sabato 20 novembre 2010
Estate
sorretto da un'insensata voglia di equilibrio
e resto qui sul filo di un rasoio
ad asciugar parole
che oggi ho steso e mai dirò
Negramaro
Umile testimonianza
"Catherine Leroux, per cinquattraquattro anni di servizio nella stessa fattoria, una medaglia d'argento del valore di venticinque franchi!".
"Dov'e', dove' Catherine Leroux?" ripeteva il consigliere...
Si vide farsi avanti sul palco una vecchietta tutta timorosa, che sembrava ancor più piena di grinze nei suoi poveri vestiti. Portava grossi zoccoli di legno e, intorno a i fianchi, un grande grembiule azzurro. Il viso, magro, era circondato da una cuffietta senz'orlo ed era più grinzoso di una mela appassita. Le maniche della camicetta rossa lasciavano vedere un paio di lunghe mani dalle articolazioni nodose. La polvere dei granai, la potassa della lisciva e l'untume delle lane le avevano talmente incrostate, screpolate, indurite, che sembravano sporche nonostante fossero state lavate nell'acqua chiara. A forza di avere servito, quelle mani erano rimaste semiaperte, e pareva rappresentassero da se' sole l'umile testimonianza di tante sofferenze subite. Qualche cosa come una rigidezza monacale, dava risalto all'espressione del suo viso. Nulla di triste o di tenero ammorbidiva quel suo sguardo chiaro. Una lunga dimestichezza con gli animali le aveva insegnato il loro mutismo e la loro tranquillita'. Era la prima volta che si vedeva al centro di una compagnia tanto numerosa e, nonostante dentro di se' fosse intimidita dalle bandiere, dai tamburi, da quei signori in marsina nera e dalla Legion d'onore del consigliere, restava immobile, non sapendo se dovesse farsi avanti o fuggire, incapace com'era di comprendere perche' la folla la spingesse avanti e i membri della giuria le sorridessero. Cosi' stava, davanti a quei borghesi esilaranti, quel mezzo secolo di servitu'.
...
Quand'ebbe presa la sua medaglia, essa la guardo' con attenzione. Allora un sorriso beato le spiano' il viso.
Madame Bovary - G. Flaubert
venerdì 19 novembre 2010
mercoledì 17 novembre 2010
Etica
"do' molta importanza all'etica della persona e all'etica delle istituzioni, due cose disgiunte ma che si congiungono nell'uomo. L'etica delle persone vuol dire il senso della dignità, propria e per il proprio prossimo: quindi rispetto per la persona umana. Le istituzioni sono la forza di una società. E' necessario il culto delle istituzioni; occorre interpretarle, rispettarle, accrescerne la dignità. Mi è molto cara la parola dignità."
..................
"Occorre suscitare nei giovani speranze, ideali nei quali credere, e per i quali impegnarsi, per cui operare, con forza, con fiducia."
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Gli antichi greci quando volevano augurare il massimo della felicità ad una persona, dicevano: "che tu possa vedere i figli dei tuoi figli".
intervista a C.A. CiampiIstituzioni
Vincenzo Cuoco - Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli (1806)
Mutazioni casuali
La fisica dei supereroi - J. Kakalios
domenica 14 novembre 2010
Mai mollare
lasciamo stare la Fede chissà qual'è il Dio giusto se sta di sopra di sotto o se ce l'abbiamo dentro in qualche venuzza dei piedi ma dare uno scopo a quella briciolina che siamo non è poi un pensiero da buttar via anche se darsi un senso è un po' come cercare di acchiappare al volo una farfalla se si posa forse ce la fai ma se vola a zigzag come fanno loro è dura durissima anzi impossibile prenderla con le mani però io ci provo perché provarci è bello sento che è bello sento che mi piace e se un giorno avrò un figlio gli insegnerò che provarci è bello e forse una mattina mentre apro la posta sarà la farfalla a volare sulla mia mano dov'è che l'avevo letto che lo zigzag è una variante fantastica della linea retta in ogni caso mai mollare questo l'ho capito mai mollare è questo il modo migliore per diventare migliori
A corpo morto - V. FranceschiniVocabolario
ma lo sai che non me l'immaginavo che un vocabolario potesse essere così interessante quasi più che leggere un romanzo perché anche il vocabolario ha una sua trama che va per mille sentieri con mille sorprese pugnare vuol dire combattere voce dotta dal latino pugna e pugnale si chiama così perché si tiene in pugno mentre invece veleno viene da Venere e vuol dire filtro amatorio ma ogni tanto nella notte fra una parola e l'altra c'è anche un grido o uno sparo perché il thriller non l'hanno mica inventato gli scrittori o i registi del cinema, l'hanno inventato i vocabolari uniti del mondo che con tutti i loro aggettivi e sostantivi complicativi e nomi e pronomi clandestini che piovono giù dal greco dal latino dall'arabo e da chissà dove se li sai leggere t'insegnano cos'è questa vita di colore nel senso di bastarda meticcia però bella
A corpo morto - V. Franceschini
Artisti
Disegnavi così bene, ecco, questo si, disegnavi benissimo e quando a sedici anni dicesti farò il pittore io fui contento, tua madre un po' meno, la sera a letto diceva i pittori patiscono la fame. (Apre gli occhi) Non aveva tutti i torti, il mondo non sa che farsene degli artisti quando sono vivi. Gli artisti sono un bene incurabile nel corpo sano della merda. Devono morire perché la merda trionfi e le classi non c'entrano. Siamo naturalmente portati al male e quando l'hai capito non ce l'hai più fatta. Proprio come Majakovskij. Anime nobili. Anime inutili e un po' storte, che mandate al macero voi stesse e quelle dei pochi che vi capiscono. (Toglie la mano da sotto il lenzuolo, la guarda) Che beffa, eh? Tutti schiavi del caos, uomini e cammelli. E tutti, ricchi e poveracci, non passeremo mai per quella cruna. Caro mio, urlare e bestemmiare è troppo facile, l'assenza del cielo te la devi conquistare e costa più fatica che conquistare Cuba. Io ci ho messo cinquant'anni, beh, almeno questo l'ho fatto. Sai, si sta bene con una spugna al posto del cuore. Accettarsi con tutte le porcherie dell'anima è una fatica che nemmeno Ercole avrebbe sopportato.
A corpo morto - V. Franceschini
Rivoluzioni
le rivoluzioni son belle fino al giorno prima. Ma il giorno dopo, mentre sei lì che cerchi di costruire l’uomo nuovo da sotto al letto sbuca fuori l’homo sapiens che ti frega l’orologio e il sol dell’avvenire.
A corpo morto - V. Franceschini
Male nell'uomo
In quanto alle ingiustizie del mondo ci sono sempre state e non c'è rivoluzione che possa eliminarle perché il male è nell'uomo, in quelle brutte bestie incarognite che siamo noi, adesso che sei freddo l'avrai capito. Ma quand'eri caldo dov'è che guardavi? Non le vedevi le facce di quelli che urlavano insieme a te nei cortei? Credi davvero che volessero un mondo più giusto? Ne ho conosciuti tanti così, nel '68, li ho visti da vicino, mi viene da ridere. Povero Ho-ci-min. Vuoi saperlo perché sfasciavi le vetrine e bruciavi i cassonetti? Perché i problemi di fondo è più comodo affrontarli di sghimbescio e lo sghimbescio è il cassonetto che brucia. Sissignore, con la sua fiammata ipocrita e furbetta incendia il presente e sposta la verità un po' più in là... al mese venturo, all'anno venturo, alla vita ventura. E' un piccolo big-bang-fai-da-te col quale tenti di rigenerare il tuo sfigatissimo universo personale, altro che.
A corpo morto - V. Franceschini
Giovinezza
Senti, mi dispiace, non sarò stato un buon padre ma tu come figlio sei stato proprio un pezzo di merda, lascia che te lo dica, con tutta quella gioventù che ti usciva dagli occhi senza che mai ti fermassi a riflettere su quel che facevamo io e tua madre, mai a farci un pensiero su, c'eri soltanto tu a sputare nel piatto dalla mattina alla sera. Che bel disprezzo ti eri costruito! Se voglio ricordare un tuo sorriso devo guardare le foto di quand'eri piccolo. E' proprio vero che la giovinezza è bella quando non c'è più. Ma sono stato giovane anch'io e non ho fatto nessuna tragedia, ho solo aspettato che passasse.
A corpo morto - V. Franceschini
Memoria del cuore
A corpo morto - V. Franceschini
Angoscia
A corpo morto - V. Franceschini
sabato 13 novembre 2010
mercoledì 10 novembre 2010
Bicchier d'acqua
Il tempo e' cambiato in un batter di ciglia. E' proprio vero che anche le peggiori tempeste a volte si risolvono in un bicchier d'acqua!
lunedì 8 novembre 2010
Libro
G. Flaubert - Madame Bovary
Attesa
G. Flaubert - Madame Bovary
Cambiamenti
C. Darwin
Il viaggio
Si parte. Le luci si accendono. Il motore romba.
Alla prima curva mi accorgo pero' che e' una battaglia diversa dalle altre: la strada e' un invaso d'acqua, e non si vede nulla! Ci vuole un immane gioco di memoria per ricordarsi il percorso, per intuire quando e' il momento di curvare, per immaginare quando sotto quella colonna d'acqua si nasconde una buca profonda, per dedurre che da quella strada inclinata sta scivolando un treno d'acqua che come un fiume che esce dall'ansa si incanala per la via più veloce che trova. E allora pensi, anche se non hai il tempo di pensare, e vedi in un angolo della tua mente un'immagine remota, che come un fulmine che illumina la notte ti balena avanti agli occhi: e' come quando eri bambino e c'era la pioggia, e, incurante di arrivare asciutto a scuola, tuffavi i tuoi piedi sulle pozzanghere lungo la strada, curando di cercare quelle più profonde, con la certezza di raggiungere la soddisfazione di sentire quello "splash", quel suono, quella musica che accompagna ogni tuffo, e che ti faceva salire verso l'alto la curvatura della bocca, in un sorriso di gaia felicita'.
E intuisci che gia' da allora avevi capito che cio' che conta non e' la meta, ma il viaggio.
E sorridi di questa scoperta, divertendoti a guidare nel temporale come con una'acquascooter nel mare.
domenica 7 novembre 2010
Felicita'
Madame Bovary - Gustave Flaubert
sabato 6 novembre 2010
Dovere quotidiano
Madame Bovary - Gustave Flaubert
giovedì 4 novembre 2010
Uscire in balcone
Viaggio da Fermo - A. Ferracuti
Scrittore
Viaggio da Fermo - A. Ferracuti
Andare
Centomila punture di spillo - F. Rampini e CM De Benedetti
martedì 2 novembre 2010
Nei giardini che nessuno sa
Un gran freddo dentro l’anima,
fa fatica anche una lacrima a scendere giù.
Troppe attese dietro l’angolo,
gioie che non ti appartengono.
Questo tempo inconciliabile gioca contro te.
Ecco come si finisce poi,
inchiodati a una finestra noi,
spettatori malinconici,
di felicità impossibili…
Tanti viaggi rimandati e già,
valigie vuote da un’eternità…
Quel dolore che non sai cos’è,
solo lui non ti abbandonerà mai, oh mai!
E’ un rifugio quel malessere,
troppa fretta in quel tuo crescere.
Non si fanno più miracoli,
adesso non più.
Non dar retta a quelle bambole.
Non toccare quelle pillole.
Quella suora ha un bel carattere,
ci sa fare con le anime.
Ti darei gli occhi miei,
per vedere ciò che non vedi.
L’energia, l’allegria,
per strapparti ancora sorrisi.
Dirti si, sempre si,
e riuscire a farti volare,
dove vuoi, dove sai,
senza più quei pesi sul cuore.
Nasconderti le nuvole,
quell’inverno che ti fa male.
Curarti le ferite e poi,
qualche dente in più per mangiare.
E poi vederti ridere,
e poi vederti correre ancora.
Dimentica, c’è chi dimentica
Distrattamente un fiore una domenica
E poi… silenzi. E poi silenzi.
Nei giardini che nessuno sa
Si respira l’inutilità.
C’è rispetto grande pulizia,
è quasi follia.
Non sai come è bello stringerti,
ritrovarsi qui a difenderti,
e vestirti e pettinarti si.
E sussurrarti non arrenderti
nei giardini che nessuno sa,
quanta vita si trascina qua,
solo acciacchi, piccole anemie.
Siamo niente senza fantasie.
Sorreggili, aiutali,
ti prego non lasciarli cadere.
Esili, fragili,
non negargli un po' del tuo amore.
Stelle che ora tacciono,
ma daranno un segno a quel cielo.
Gli uomini non brillano
Se non sono stelle anche loro.
Mani che ora tremano,
perché il vento soffia più forte…
non lasciarli adesso no.
Che non li sorprenda la morte.
Siamo noi gli inabili,
che pure avendo a volte non diamo.
Dimentica, c’è chi dimentica,
distrattamente un fiore una domenica
e poi silenzi. E poi silenzi
Renato Zero
lunedì 1 novembre 2010
sabato 30 ottobre 2010
Statistiche
C. De Benedetti e F. Rampini - Centomila punture di spillo
lunedì 25 ottobre 2010
Se puoi vincere
Centomila punture di spillo - Carlo De Benedetti e Federico Rampini
giovedì 21 ottobre 2010
Il padre di Federico II di Svevia
Sconfitto e catturato, Riccardo di Acerra fu trascinato per le vie di Capua da cavalli in corsa e, ancora vivo, fu appeso per i piedi per due giornate intere, finche' un buffone di corte non mise fine alla sua agonia legandogli un peso al collo si' da strangolarlo. I disgraziati ostaggi che erano in Germania vennero tutti accecati, mentre i capi della ribellione siciliana vennero torturati alla presenza di Enrico e di Costanza stessi. Il conte Giordano fu fatto sedere su un trono di ferro rovente e gli fu infissa in fronte a martellate una corona di chiodi di ferro, evidentemente perche' Enrico lo aveva sospettato di volergli usurpare il posto di sovrano dell'isola.
Federico II di Svevia - Georgina Masson
giovedì 14 ottobre 2010
Fotografo
Viaggio da Fermo - A. Ferracuti
sabato 9 ottobre 2010
Montagna
Viaggi da Fermo - A. Ferracuti
Eremita
Viaggio da Fermo - A. Ferracuti
venerdì 8 ottobre 2010
Marchigiani
Viaggi da Fermo - A Ferracuti
mercoledì 6 ottobre 2010
Duomo di Palermo
sabato 2 ottobre 2010
Mulan
Ma guarda quello e' in ritardo.
Scommetto che quando fiorira' sara' il più' bello!
venerdì 1 ottobre 2010
Ratatuille
domenica 26 settembre 2010
Pompei casa del Fauno
Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell'altra è la strage,
Non avvien ciò d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.
...................
La Ginestra - Giacomo Leopardi
versi 202 - 236
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Parafrasi
Come un piccolo frutto, in autunno inoltrato,
la sola maturazione, senza il concorso di altre forze
(maturità senz'altra forza) fa precipitare a terra,
e cadendo schiaccia, annienta e sommerge (copre)
in un attimo i nidi scavati nel molle terreno
dalle formiche con grande fatica e lavoro
e provviste che quella gente laboriosa (l'assidua gente,
le formiche) avevano accumulato con previdenza,
a gara, durante l’estate; allo stesso modo
le tenebre ed una valanga (ruina) di ceneri,
di rocce laviche (pomici) e di pietre, miste a ruscelli
di lava (bollenti) piombando dall’alto,
(dopo esser stata) scagliata verso il cielo d
alle viscere fragorose (utero tonante) del vulcano,
oppure un’immensa piena di massi liquefatti,
e di metalli e di sabbia (arena) infuocata,
scendendo furiosa tra l'erba lungo il pendio della montagna,
sconvolse (confuse), distrusse (infranse) e
ricoprì (ricoperse) in pochi istanti le città
che il mare lambiva là sulla costa: per cui su quelle (città)
ora pascola la capra, e nuove città sorgono dall’altra parte
sopra quelle sepolte (a cui sgabello son le sepolte) e
l’alto monte quasi calpesta con il suo piede
le mura cadute (prostrate mura).
La natura non nutre più attenzione, nè maggiore
considerazione per la specie umana (seme dell'uom)
che per la formica, e se avviene che le stragi sono meno frequenti tra gli uomini che tra le formiche, ciò dipende solo dal fatto che la stirpe degli uomini è meno feconda (cioè gli uomini sono meno numerosi delle formiche: è dunque una questione statistica.)
(http://www.parafrasando.it/LaGinestra.htm)
Passeggiando per Pompei
Qui su l'arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null'altro allegra arbor né fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti. Anco ti vidi
de' tuoi steli abbellir l'erme contrade
che cingon la cittade
la qual fu donna de' mortali un tempo,
e del perduto impero
par che col grave e taciturno aspetto
faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
lochi e dal mondo abbandonati amante,
e d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
di ceneri infeconde, e ricoperti
dell'impietrata lava,
che sotto i passi al peregrin risona;
dove s'annida e si contorce al sole
la serpe, e dove al noto
cavernoso covil torna il coniglio;
fur liete ville e colti,
e biondeggiàr di spiche, e risonaro
di muggito d'armenti;
fur giardini e palagi,
agli ozi de' potenti
gradito ospizio; e fur città famose
che coi torrenti suoi l'altero monte
dall'ignea bocca fulminando oppresse
con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
una ruina involve,
dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
i danni altrui commiserando, al cielo
di dolcissimo odor mandi un profumo,
che il deserto consola. A queste piagge
venga colui che d'esaltar con lode
il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
è il gener nostro in cura
all'amante natura. E la possanza
qui con giusta misura
anco estimar potrà dell'uman seme,
cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
con lieve moto in un momento annulla
in parte, e può con moti
poco men lievi ancor subitamente
annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
son dell'umana gente
le magnifiche sorti e progressive.
..................
La Ginestra (Giacomo Leopardi)
versi 1 - 51
_________________________
Parafrasi
Qui sulla pendice (schiena)
riarsa del tremendo (formidabil, latinamente 'spaventevole') distruttore (sterminator)
monte Vesuvio (Vesevo, latinismo),
che nessun altro tipo di vegetazione allieta,
spargi i tuoi cespi solitari intorno,
profumata ginestra,
appagata dai deserti (mostrando di non sdegnare i deserti, anzi quasi di prediligerli).
Ti vidi un’altra volta
abbellire con i tuoi steli anche le solitarie campagne
che circondano Roma (la cittade)
la quale città (Roma)
fu un tempo dominatrice di popoli,
e sembra che (par che)
(le contrade) con il loro cupo e silenzioso aspetto testimonino e ricordino al viandante (passeggero) il grande impero perduto.
Ti rivedo ora in questo suolo tu che sei amante
di luoghi tristi e abbandonati dal mondo,
e sempre compagna di grandezze decadute.
Questi campi cosparsi di ceneri sterili e ricoperti
dalla lava solidificata (impietrata),
che risuona sotto i passi del viandante,
dove si annida e si contorce al sole
il serpente, e dove all’abituale tana sotterranea
torna il coniglio; furono (la serie fur...fur...fur... sottolinea e oppone alla desolazione il ricordo dello splendore delle città antiche)
villaggi prosperi e campi incolti, e biondeggiarono di messi,
e risuonarono di muggiti di mandrie;
furono giardini e ville sontuose,
soggiorno gradito all'ozio dei potenti (poichè queste città erano stazioni turistiche); e furono città famose
che il vulcano indomabile, vomitando (fulminando: spargendo lava)
torrenti di lava dalla sua bocca di fuoco (ignea) distrusse insieme con i loro abitanti. Ora invece una sola rovina avvolge tutto quanto (involve),
là dove tu dimori, o fiore gentile e, quasi compiangendo (commiserando) le altrui miserie, emani un profumo dolcissimo che sale verso il cielo e che consola questo luogo di desolazione. Venga in questi luoghi colui che suole elogiare (esaltar con lode, esaltare con enfasi, con convinzione cieca) la nostra umana condizione (il nostro stato) e guardi quanto la natura benigna, amorevole (amante, detto con sarcasmo) si curi del genere umano.
E qui potrà anche giudicare esattamente la potenza (possanza)
del genere umano, che la natura, crudele nutrice,
quando l’uomo meno se lo aspetta (ov'ei men teme),
con una scossa impercettibile in parte
distrugge in un momento e può con scosse un po’
meno lievi annientare del tutto all'improvviso (subitamente).
Su questi pendii sono rappresentate le sorti splendide e in continuo
progresso dell’umanità (la citazione proviene dalla dedica che il cugino del poeta, Terenzio Mamiani, premetteva agli Inni Sacri).
(http://www.parafrasando.it/LaGinestra.htm)
sabato 25 settembre 2010
domenica 19 settembre 2010
Todi chiesa di San Fortunato
Interno Chiesa S. Fortunato
Una rarità consiste nell’esistenza delle cappelle laterali, progettate fin dall’inizio (vedi anche S. Trinità in Firenze), mentre appaiono nel resto d’Italia solamente con il Rinascimento. Servivano da sepolcreti a pagamento per famiglie abbienti, finanziando in questo modo almeno in parte i costi della costruzione della chiesa. Essendo stata costruita in due tempi, si possono notare delle piccole differenze tra le due parti, soprattutto per quanto riguarda la prima coppia di pilastri e le finestre più piccole delle prime due arcate. Disturbano un poco gli arconi di sostegno aggiunti in un secondo tempo. Al primo pilastro di destra, si trova un’acquasantiera gotica, nella quarta cappella dello stesso lato, un affresco di Masolino da Panicale, “Madonna col Bambino e Angeli” (1432), nella quinta, affreschi della scuola di Giotto della prima metà del XIV secolo. La cappella successiva, non facente parte della costruzione originaria della chiesa, fu in precedenza la sala capitolare: mostra degli affreschi di Nicola Vannucci di Todi della fine del XIV sec.; sopra all’ingresso della cappella è stato posto il pulpito del XV secolo. Il coro poligonale contiene uno stallo ligneo di Antonio Maffei di Gubbio del 1590. La quinta cappella di sinistra contiene altri affreschi della scuola di Giotto, mentre la terza è decorata da Andrea Polidori (1618). Il primo pilastro di sinistra poggia su due capitelli sovrapposti: quello superiore, proveniente probabilmente dalla chiesa precedente, funge da acquasantiera.
Portale Chiesa S. Fortunato
Nella cripta sottostante è sepolto Jacopone da Todi (1230-1306), il fervido frate francescano, uno dei primi compagni di S. Francesco e appartenente all’Ordine dei Francescani Minori, poeta in lingua latina (gli viene attribuito il testo della famosa “Stabat mater dolorosa”) e, per primo, in lingua volgare italiana (le Laudi); in lotta con la Curia Romana, venne scomunicato e dovette rifugiarsi nel convento di S. Lorenzo di Collazzone, dove morì la notte di Natale del 1306.
Iacopone da Todi
Iacopone da Todi,
O papa Bonifazio, molt'ài iocato al mondo
O papa Bonifazio, molt'ài iocato al mondo;
pensome che iocondo non te 'n porrai partire!
Lo mondo non n'à usato lassar li sui serventi,
ched a la scivirita se 'n partano gaudenti.
Non farà lege nova de farnete essente,
che non te dìa presente, che dona al suo servire.
Bene lo mme pensai che fussi satollato
d'esto malvascio ioco, ch'al mondo ài conversato;
ma poi che tu salisti enn ofizio papato,
non s'aconfà a lo stato essere en tal disire!
Vizio enveterato convertes'en natura;
de congregar le cose granne n'à' auta cura;
or non ce basta el licito a la tua fame dura,
messo t'èi a 'rrobatura, como asscaran rapire.
Pare che la vergogna dereto agi iettata,
l'alma e lo corpo ài posto a llevar to casata;
omo ch'en rena mobele fa grann'edificata,
subito è 'n ruinata, e no li pò fallire.
Como la salamandra sempre vive nel foco,
cusì par che llo scandalo te sia solazzo e ioco;
dell'aneme redente par che ne curi poco!
Là 've t'accunci 'l loco, saperàilo al partire.
Se alcuno ovescovello pò covelle pagare,
mìttili lo fragello che lo vòl' degradare;
poi 'l mandi al cammorlengo, che se deia acordare;
e tanto porrà dare che 'l lassarai redire.
Quando nella contrata t'aiace alcun castello,
'n estante mitti screzio enfra frat'e fratello;
all'un getti el braccio en collo, all'altro mustri el coltello;
se no n'assente al tuo appello, menaccili de firire.
Pènsite per astuzia lo mondo dominare;
ciò ch'ordene l'un anno, l'altro el vidi guastare.
El mondo non n'è cavallo che sse lass'enfrenare,
che 'l pòzzi cavalcare secondo tuo volere!
Quando la prima messa da te fo celebrata,
venne una tenebria per tutta la contrata;
en santo non remase luminera apicciata,
tal tempesta levata là 've tu stavi a ddire.
Quando fo celebrata la 'ncoronazione,
non fo celato al mondo quello che c'escuntròne:
quaranta omen' fòr morti all'oscir de la masone!
Miracol Deo mustròne, quanto li eri 'n placere.
Reputavi te essare lo plu sufficiente
de sedere en papato sopre onn'omo vivente;
clamavi santo Petro che fusse respondente
s'isso sapìa neiente respetto al tuo sapere.
Punisti la tua sedia da parte d'aquilone,
Per sùbita ruina èi preso en tua masone
e null'o
Lucifero novello a ssedere en papato,
lengua de blasfemìa, ch'el mondo ài 'nvenenato,
che non se trova spezia, bruttura de peccato,
là 've tu si enfamato vergogna è a profirire.
Punisti la tua lengua contra le reliuni,
a ddicer blasfemia senza nulla rasone;
e Deo sì t'à somerso en tanta confusione
che onn'om ne fa canzone tuo nome a maledire.
O lengua macellara a ddicer villania,
remproperar vergogne cun granne blasfemìa!
Né emperator né rege, chivelle altro che sia,
da te non se partia senza crudel firire.
O pessima avarizia, sete endopplicata,
bever tanta pecunia, no n'essere saziata!
Non 'l te pensavi, misero, a ccui l'ài congregata,
ché tal la t'à arrobata, che no n'eri en pensieri.
La settemana santa, ch'onn'omo stava 'n planto,
mandasti tua famiglia per Roma andare al salto;
lance giero rompenno, faccenno danz'e canto;
penso ch'en molto afranto Deo <'n> te deia ponire.
Intro per Santo Petro e per Santa Santoro
mandasti tua famiglia faccenno danza e coro;
li pelegrini tutti scandalizzati fòro,
maledicenno tu' oro e te e to cavalieri.
Pensavi per augurio la vita perlongare!
Anno dìne né ora omo non sperare!
Vedem per lo peccato la vita stermenare,
la morte appropinquare quand'om pensa gaudere.
Non trovo chi recordi papa nullo passato,
ch'en tanta vanagloria se sia sì delettato.
Par ch'el temor de Deo dereto agi gettato:
segno è d'om desperato o de falso sentire.
Invettiva contro Bonifacio VIII, violentemente accusato da Iacopone di nepotismo, avarizia, empietà, superstizione e eresia. Il poeta gli predice la dannazione eterna e allude sarcasticamente alla pratica comune di «male dire» il suo nome. Metrica: 7+7 Y(y)X, AAA(a)X (il primo emistichio talvolta è sdrucciolo). vv. 1-2 «O papa Bonifacio, in questo mondo hai giocato molto, ma credo che non te potrai partire giocondo!». iocato...iocondo: si noti il gioco di parole. vv. 3-6 «Il mondo non ha l’uso di lasciare che i suoi servi partano gaudenti per la morte. Non farà quindi una nuova legge per farti esente da ciò e per non darti la liquidazione che normalmente dà ai suoi servi». vv. 7-10 «Io avevo creduto che ormai tu ne avessi abbastanza del gioco malvagio che hai praticato in questo mondo; ma, da quando sei salito all’ufficio di pontefice, non si addice più al tuo stato desiderare una tal cosa». vv. 11-14 «Il vizio inveterato si converte in natura, di accumulare i beni hai avuto gran cura; alla tua dura fame non è bastato ciò che era lecito e ti sei dato alle ruberie e a rapire come un masnadiero». vv. 15-18 «Sembra che ti sia lasciato alle spalle la vergogna, hai messo anima e corpo ad arricchire la gente della tua famiglia; chi fa un grande edificio sulla mobile sabbia, subito va in rovina e non può non essere così». omo...ruinata: «Cfr. Matt 7, 26-27: «Omnis qui audit verba mea haec et non facit ea, similis erit viro stulto, qui aedificavit domum suam super arenam. Et descendit pluvia, et venerunt flumina, et flaverunt venti, et irruerunt in domum illam et cecidit et fuit ruina illa magna». Bonifacio, quindi, «è simile allo stolto del Vangelo, perché ha rivolto il suo amore alle cose effimere di questo mondo» (Ageno). vv. 19-22 «Come la salamandra vive sempre nel fuoco, così sembra che per te gli scandali siano piacere e gioco; sembra che ti curi poco della redenzione delle anime! Quale luogo ti si prepari, lo saprai al momento della morte». salamandra: motivo frequentatissimo nei bestiari e nella lirica provenzale e italiana: cfr. A. Menichetti, ed. Chiaro Davanzati, pp. LVIII-LIX. vv. 23-26 «Se qualche vescovo può pagare qualcosa, lo assilli dicendogli di volerlo degradare; poi mandi il l’amministratore affinché si accordi con lui e potrà dare tanto che lo lascerai libero di tornare (al suo ufficio)». Ageno, Sull'invettiva, pp. 378-79 ha identificato il vescovo in questione con l’arcidiacono di Husillos. vv. 27-30 «Quando ti fa comodo qualche castello con annesso latifondo, subito metti zizzania fra fratello e fratello; all’uno getti le braccia al collo e all’altro mostri il coltello; se non acconsente ai tuoi voleri, minacci di ferirlo». vv. 31-34 «Pensi di poter dominare il mondo con l’astuzia; ciò che costruisci un anno, l’anno seguente lo distruggi. Il mondo non è un cavallo che si lascia tirare il freno e che tu puoi cavalcare a tuo piacimento!». vv. 35-38 «Quando celebrasti la tua prima messa, tutto il paese si oscurò; in chiesa non rimase nessun lume acceso, tale tempesta si era sollevata laddove tu dicevi (messa)». vv. 39-42 «Quando fu celebrata la tua incoronazione, al mondo non fu celato quello che vi accadde; quaranta uomini morirono all’uscir di casa! Con questo miracolo Dio mostrò quanto tu gli piacessi». vv. 43-46 «Pensavi di essere il più adatto a sedere sul soglio pontificio, più di chiunque altro; chiamavi San Pietro affinché attestasse se sapeva qualcosa riguardo alla tua sapienza». vv. 47-50 «Mettesti la tua sedia dalla parte del vento aquilone; la tua intenzione era contro Dio. Immediatamente ti accadde un’irreparabile disgrazia e non si trovò nessun medico che potesse guarirti». aquilone: cfr. Is 14, 13-14, dove Lucifero afferma: «sedebo in monte testamenti, in lateribus Aquilonis, ascendam super altitudinem nubium, similis ero Deo altissimo». vv. 51-54 «Nuovo Lucifero che siedi sul soglio pontificio, lingua blasfema che hai avvelenato il mondo (in modo tale) che non si trova medicina (antidoto al veleno), fa vergogna proferire la bruttezza del peccato di cui sei infamato». spezia: Mancini, glossa ‘bellezza’, ‘cosa buona, nobile’ e spiega: «sì che (in esso mondo) non si trova più alcunché di bello e di nobile, ma solo bruttura di peccato». Contini, invece, prende atto dell’alterazione sofferta in questo punto dal testo e applica il verso a Bonifacio, nel senso che egli non risulterebbe «esente da nessun peccato, neppure i più infami». Mi sembra certo che spezia vale qui «medicina» e che vada riferita al verso che precede. vv. 55-58 «Hai usato la tua lingua contro gli ordini religiosi, dicendo imprecazioni senza alcuna ragione; e Dio ti ha allora sprofondato in tanta confusione che ognuno si beffa di te, maledicendo il tuo nome». Continua qui il motivo della blasfemia del papa, cominciato nella strofe precedente e proseguito anche nella seguente: è evidentemente questo l'orribile peccato che fa vergogna persino menzionare. relïuni: con questo termine, in tutto il laudario vengono nominati gli Ordini religiosi, ma qui si fa riferimento a quelli in cui era praticata la povertà assoluta (Ageno, Sull'invettiva, pp. 384-85). maledire: gioca qui probabilmente con il nome del Papa, Benedetto, forse popolarmente «canzonato» dandogli del Maledetto. Cfr. in proposito Ubertino da Casale, Arbor vitae crucifixae, V, cap. VIII (Iesus falsificatus, riportato in Ageno, Sull'invettiva, p. 385): «dum legeret ad mensam ille qui melius scit, librum Iustini Martyris doctoris Greci super Apocalipsim, et venisset ad hunc locum, quando idem Iustinus, computando litteras Grecas, componit ex litteris huius numeri apud Grecos nomen istud Benedictos, quasi nominativus singularis huius nominis latini Benedictus, et dicit quod est nomen futurum predicte bestie». vv. 59-62 «O lingua assassina nel dire cose villane e nel rinfacciare fatti umilianti con grande arroganza. Né imperatore, né re, né chiunque altro poteva prender congedo da te, senza che tu lo avessi ferito crudelmente». vv. 63-66 «O malvagia avidità, sete che continuamente raddoppia e che porta a bere tanto denaro senza esser mai sazio! Tu, miserabile, non hai pensato per chi ne hai raccolto tanto: ché te la ha rubata qualcuno di cui non hai la minima idea». vv. 67-70 «Durante la settimana santa, quando tutti piangevano, hai mandato il tuo séguito per Roma a divertirsi; ruppero lance, danzarono e cantarono; credo che Dio te ne debba punire con grande tormento». Il fatto è raccontato anche dal cardinale Pietro Colonna in una testimonianza al processo postumo contro Bonifacio: cfr. Ageno, Sull'invettiva, p. 387. salto: giostra, torneo. vv. 71-74 «Hai mandato i tuoi cortigiani dentro San Pietro, dov'è il Santissimo, a fare danze e cori; tutti i pellegrini ne furono scandalizzati e maledissero le tue ricchezze, te e i tuoi cavalieri». vv. 75-78 «Pensavi di poter prolungare la tua vita attraverso i sortilegi! Non si può sperare di ottenere ciò né per un anno, né per un giorno, né per un'ora! Vediamo che la vita termina improvvisamente mentre si è nel peccato, e che la morte si avvicina quando si pensa di gioire». vv. 79-82 «Non trovo chi ricordi nessun papa del passato che si sia dilettato con tanta vanagloria; sembra che tu abbia gettato dietro il timor di Dio: è segno che ti senti senza speranza o nell'errore».
Todi tempio Santa Maria della Consolazione
Il Tempio di Santa Maria della Consolazione sorge ai piedi del colle di Todi. La chiesa fu costruita fra il 1508 d.C. ed il 1607 d.C. sul luogo di alcune guarigioni miracolose avvenute presso un edicola dove erano dipinte le immagini della Vergine col Bambino e Santa Caterina di Alessandria.
La tradizione vuole che un operaio privo della vista da un occhio, forse un certo Iole di Cecco, eseguendo l’ordine del comune di liberare dai rovi la zona presso le porte di Santa Maria e di San Giorgio avesse ripulito dalla polvere il volto dipinto della Vergine Maria con il proprio fazzoletto. In seguito, asciugandosi il volto e gli occhi con quello stesso fazzoletto avrebbe riacquistato miracolosamente la vista.
Il tempio della consolazione è uno dei più alti esempi di arte rinascimentale presenti in Umbria, Il progetto dell’impianto a croce greca, caratterizzato da cinque cupole, una centrale ed una per ogni abside della pianta del tempio, dovrebbe essere opera della scuola del Bramante, anche se alcuni lo vogliono frutto dell’opera di Cola di Caprarola ed altri di Antonio da Sangallo il Giovane. Tuttavia sembra certo che la direzione dei lavori sia stata affidata proprio a quest’ultimo che portò a compimento un tempio dalle forme di grande armonia alto circa 70 metri al culmine della lanterna che capeggia la cupola centrale. L'interno del Tempio di Santa Maria della Consolazione, caratterizzato dall’ariosità e dalla luminosità degli spazi tipiche del Rinascimento, ospita le statue di Papa Martino di Todi, quelle dei dodici apostoli e nell’abside nord presso l’altare barocco un’immagine della Vergine con il Bambino che viene ritenuta ancora miracolosa. La devozione degli abitanti di Todi per la Vergine e per il tempio che la città volle dedicarle è tale che per porre rimedio a quello che da più parti veniva ritenuto un vero scempio architettonico, ovvero la costruzione di una sacrestia nel 1613 appoggiata sul lato nord del tempio, tutta la cittadinanza insorse ottenendone infine l’abbattimento nel 1862 d.C.
sabato 18 settembre 2010
Duomo di Todi
Iacopone da Todi
Jacopo de' Benedetti detto Jacopone da Todi (Todi, 1233 circa – Collazzone, 25 dicembre 1306) è stato un religioso e poeta italiano venerato come beato dalla Chiesa cattolica. I critici lo considerano uno dei più importanti poeti italiani del Medioevo, certamente fra i più celebri autori di laudi religiose della letteratura italiana.
Nato tra il 1230 e il 1236 da Iacobello, della nobile famiglia tuderte dei Benedetti, Iacopone studiò legge probabilmente all'università di Bologna e intraprese la professione di notaio e procuratore legale, conducendo una vita spensierata. Nel 1267 sposò Vanna, figlia di Bernardino di Guidone conte di Coldimezzo. La moglie morì l'anno seguente durante una festa, per il crollo del pavimento della stanza da ballo; dopo che sul corpo della moglie fu trovato un cilicio, Iacopone abbandonò la vita mondana e, distribuiti ai poveri i propri averi, peregrinò per dieci anni, vivendo di elemosina e subendo continue umiliazioni. Nel 1278 entrò come frate laico nell'ordine francescano, probabilmente nel convento di Pantanelli presso Terni, scegliendo la corrente rigoristica degli Spirituali, o "fraticelli", che si contrapponevano alla corrente predominante dei Conventuali, portatori di un'interpretazione più moderata della Regola francescana. Nel 1288 Iacopone si trasferì a Roma, probabilmente presso il Cardinale Bentivenga.
All'inizio del breve pontificato di Celestino V, gli spirituali, anche per merito di Iacopone che aveva mandato al pontefice una lauda, furono ufficialmente riconosciuti come ordine con il nome di Pauperes heremitae domini Celestini. Ma il nuovo papa Bonifacio VIII, acerrimo nemico delle correnti più radicali della Chiesa, non appena eletto, abrogò le precedenti disposizioni e la congregazione dei Pauperes venne così sciolta.
Iacopone fu tra i firmatari del Manifesto di Lunghezza del 10 maggio 1297, con cui gli avversari di Bonifacio VIII, capeggiati dai cardinali Jacopo e Pietro Colonna (appartenenti alla famiglia Colonna acerrima nemica dei Caetani cui apparteneva Bonifacio VIII), chiedevano la deposizione del papa e l'indizione di un concilio. La risposta di Bonifacio VIII non si fece attendere: scomunicò tutti i firmatari con la bolla Lapis abscissus e cinse d'assedio Palestrina, la roccaforte dei dissidenti. Nel settembre del 1298 Palestrina fu presa e Iacopone fu spogliato del saio, processato, condannato all'ergastolo e imprigionato nel carcere conventuale di san Fortunato a Todi. Solo alla morte di Bonifacio, nel 1303, fu liberato, vivendo poi gli ultimi anni a Collazzone Todi, dove morì la notte di Natale del 1306, nell'ospizio dei Frati Minori annesso al convento delle Clarisse.
(Descrizione Duomo di Todi a questo link: http://www.medioevo.org/artemedievale/Pages/Umbria/DuomodiTodi.html)
martedì 7 settembre 2010
Ignavi
tegnon l'anime triste di coloro
che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli».
E io: «Maestro, che è tanto greve
a lor, che lamentar li fa sì forte?».
Rispuose: «Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che 'nvidiosi son d'ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
giovedì 26 agosto 2010
lunedì 23 agosto 2010
sabato 21 agosto 2010
Vittoria
giovedì 19 agosto 2010
Italia
Nicola Fano - Garibaldi l'illusione italiana
Storia
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