La rete non è né di destra né di sinistra: la rete è un mezzo. E, checché se ne dica e si continui a ripetere, il mezzo non è il messaggio. Dopo più di cinquant'anni, bisognerebbe decidersi a rimuovere questo luogo comune che risale a Marshall McLuhan e al suo Understanding Media (1964, poi tradotto in Italia come Gli strumenti del comunicare). «Il mezzo è il messaggio»: una formulazione evocativa che non va dimenticato si riferiva esplicitamente a media orali, ovvero al confronto tra i media caldi (come la radio e il cinema) e i media freddi (come la tv e il telefono). Del telefono, in particolare McLuhan preconizzava una rapida scomparsa, dato che lo considerava «un irresistibile intruso capace di penetrare ovunque in qualsiasi momento», ignorando «tutte le pretese di privacy».
Il mezzo non è il messaggio e tanto meno è il linguaggio. Bisogna reagire a questo determinismo tecnologico, cominciando col ripensare daccapo l'uno e l'altro. Partendo non dalle esigenze comunicative della rete, non dai dettami del marketing politico o dai risultati dell'ultimo sondaggio, ma dall'analisi della realtà. Prima il messaggio e poi il linguaggio.
Dobbiamo tornare a dire sì al logos, prima come pensiero e poi come parola. Riflettere, discutere, mettere a punto delle idee, prima di cercare il modo migliore per veicolarle e diffonderle. Interpretare a complessità del mondo nei suoi meccanismi economici e sociali e poi proporre soluzioni realistiche e praticabili, non slogan ripetibili. Solo cosi la politica potrà restituire un peso alle parole.
Giuseppe Antonelli, Volgare eloquenza. Come le parole hanno penalizzato..
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