mercoledì 25 aprile 2018

Cielo su di sé

Vincenzo si fermò. Il cielo sopra di lui era piú rugoso e scuro della crosta di una torbiera. Un cielo impossibile, puzzolente fino alla nausea come la pelle di un pachiderma. Sollevò lo sguardo per fissare quell'ammasso sospeso sulla sua testa e si chiese come facesse a reggersi senza un pilastro che lo distanziasse dal suolo. C'era qualcosa di talmente elementare in quel farsi e mescolarsi di elementi gassosi, terrosi, acquosi, che faceva pensare alla notte dei tempi. Sembra il primo cielo della Terra, pensò Vincenzo. Perché era sicurissimo che ci fosse stato un tempo in cui un umano si era dovuto rendere conto di avere un cielo su di sé, un istante certo, ma non sono tutte istanti le cose che cambiano il mondo?... Ecco pensava a quell'istante, che sicuramente doveva esserci stato, in cui ch abitava la Terra passò dal non avere la minima esperienza di quanto lo circondasse a  quando, troppo allibito pe sorprendersi, alzò lo sguardo e scrutò il cielo. No che non lo chiamò cielo, non lo chiamò affatto, ma si disse che comunque era lí, era sempre stato lí, e sempre vi sarebbe rimasto. Sempre. Vincenzo rivisse quell'istante, quasi nascesse in quello stesso momento. Perché quel turgore infelice di nubi fangose, piú livide che scure, non eran nient'altro che l'espressione tangibile del suo procedere incerto. 

Marcello Fois, Nel tempo di mezzo

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