Si arriva alla pensione e quindi all'uscita di scena. Superata la sbornia della prima fase euforica in cui ci si rende conto di essere tornati padroni del nostro tempo, segue un'involuzione pericolosa, perché ci accorgiamo di essere meno interpellati di prima, di essere meno richiesti; il nostro giudizio conta
relativamente perché veniamo collocati in una fascia sociale, quella del pensionato, che ormai ha già dato tutto quello che poteva dare.
Ma allora che succede se di colpo ci sentiamo estromessi dalla comunità sociale e dai circuiti della competizione?
Ci ribelliamo, entriamo in conflitto con noi stessi. La nostra giornata non è più tesa al raggiungimento di alcuni obiettivi. Ecco, il rischio può nascere quando veniamo catapultati improvvisamente e pericolosamente verso noi stessi, cominciamo ad ascoltarci, ad angosciarci: vengono meno il progetto di vita, la capacità di proiettarci nel futuro, una vita sociale in espansione, i rapporti interpersonali, e questo in una società che ci vuole sempre e comunque protagonisti.
La situazione diventa insopportabile perché anche nell'ambito familiare bisogna riprogrammare e rinegoziare la nostra collocazione, cambiare gli spazi, le abitudini. Diventiamo degli inquilini maldestri, ma anche fastidiosi. Ci sentiamo superati, finiti.
Rosario Sorrentino, Panico: una bugia del cervello